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Diciotti, Salvini ha compiuto un atto politico o uno amministrativo? Ecco su cosa dovrà decidere il Senato

L'inquilino del Viminale ha abusato delle sue funzioni amministrative, ponendo arbitrariamente il proprio veto allo sbarco dei 177 migranti a bordo della nave della Guardia Costiera? Oppure ha agito per la tutela di un interesse dello Stato? Sono queste le domande alle quali dovrà rispondere la Giunta di Palazzo Madama per decidere se concedere o meno l'autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell'Interno. Il M5s ha annunciato il proprio voto a favore, ma il leghista Fontana: "Il quel caso conseguenze politiche"

Tenere 177 migranti a bordo della nave Diciotti ormeggiata per cinque giorni nel porto di Catania era un atto politico o amministrativo? Vietando lo sbarco di quelle persone, Matteo Salvini ha agito per la tutela di un interesse dello Stato? Il ministro dell’Interno ha perseguito un interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo? Oppure l’ordine di non far scendere i migranti era un’azione amministrativa per perseguire finalità politiche? In questo modo il leader della Lega ha violato norme nazionali e internazionali? L’inquilino del Viminale ha abusato delle sue funzioni amministrative, ponendo arbitrariamente il proprio veto? Sono queste le domande alle quali dovranno rispondere i senatori per decidere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini.

Come funziona l’iter – Dopo la richiesta dei giudici di Catania, la giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama si riunirà per la prima volta mercoledì 30 gennaio. Relatore del caso è Maurizio Gasparri, che è anche presidente della stessa giunta. “Io leggerò la relazione che sarà un racconto dei fatti. Poi daremo il tempo a Salvini di intervenire di persona o per iscritto per dire la sua. Tutto qui”, ha spiegato il forzista. L’organo parlamentare dovrà a quel punto presentare una relazione sul caso a Palazzo Madama entro 30 giorni. Se propone di dare il via libera all’autorizzazione a procedere, senza che all’interno ci siano opinioni contrarie, l’Aula non vota: le carte tornano al tribunale dei ministri e comincia il processo a Salvini. Ma se all’interno della giunta ci sono proposte diverse, anche minoritarie, Palazzo Madama deve comunque esprimersi entro 60 giorni. Praticamente certa questa seconda ipotesi, visto che in giunta la Lega chiederà di votare contro l’autorizzazione a procedere. Il ragionamento dei leghisti – dal vicesegretario e ministro Lorenzo Fontana, ai capigruppo di Camera e Senato – a difesa del leader è semplice: Votare no non significa far giudicare Salvini dalla magistratura ma sconfessare tutto il governo e dire che non agisce per pubblico interesse. Una linea che punta a estendere a tutto l’esecutivo le decisioni prese in agosto.

Su cosa devono decidere i senatori – La giunta di Palazzo Madama, però, dovrà esprimersi solo sulle 53 pagine di relazione dei giudici siciliani: e lì l’indagato e solo Salvini. Nel dettaglio i senatori dovranno stabilire se la decisione del leader della Lega di rimandare lo sbarco dei migranti a bordo della nave militare italiana fu un atto politico, per sua natura insindacabile, oppure un atto amministrativo con finalità politiche e quindi, pur avendo “agito” da ministro della Repubblica, Salvini è punibile. I magistrati di Catania – presidente Nicola La Mantia e i giudici Paolo Corda e Sandra Levanti – scrivono che la Consulta ha ribadito come l’atto politico “mira a perseguire l’interesse politico dello Stato, qualora si sia in presenza di un compromesso non giustiziabile fra le esigenze del singolo e la suprema direzione politica dell’ordinamento, ben al di là dei fini verso cui è orientata l’amministrazione procedente”. Quindi sono atti politici i decreti legge o legislativi, l’iniziativa legislativa del governo, il programma, la gestione delle relazioni internazionali, ma non lo scioglimento di un comune per mafia. L’atto politico quindi “rimane tale fino a quando afferisce a questioni di carattere generale che non presentino un’immediata e diretta capacità lesiva nei confronti delle sfere soggettive individuali“. E i migranti della Diciotti, ricordano i magistrati, sono rimasti sotto il sole per cinque giorni dopo aver affrontato “un estenuante viaggio durato numerosi giorni”.

Atto amministrativo o atto politico? – Mentre l’atto amministrativo “incide su un oggetto specifico e circoscritto, disponendo in modo diretto e immediato su posizioni individuali, in quanto volto a trovare il migliore assetto possibile per gli interessi specificamente coinvolti in una data fattispecie. Di contro l’atto politico è emanato dell’organo esecutivo nella determinazione del proprio indirizzo di maggioranza, perseguendo fini generali, che non presentano connessioni con il caso concreto”. E infatti l’atto politico “non ha capacità lesiva di situazioni soggettive individuali, è chiaro che, rispetto a esso, non potrà neppure esservi un’esigenza di tutela giurisdizionale per il privato cittadino, privo di interesse ad agire”. Non dimenticando che il tutto – come il dienigo a rilasciare un place of safety (pos), ovvero il porto di sicuro – “si inserisce nell’ambito di una normativa sovranazionale vincolante per lo stato italiano”. Come dire: la decisione di ritardare l’indicazione del porto sicuro è – per il tribunale – ha inciso nella vita dei migranti a bordo della nave. Per questo, secondo i giudici, è un atto amministrativo e non politico, che invece ha effetti di carattere generale.

I giudici: “Violazione di norme internazionali e nazionali” – La decisione di non indicare il porto, tra l’altro, è di competenza del dirigente responsabile del Dipartimento per le Libertà civili e per le immigrazione, quale articolazione del Viminale. E l’unica discrezionalità, prevista per il Pos, “è di tipo tecnico-amministrattivo, mentre si è visto come le ragioni sottese al veto posto dal ministro fossero unicamente di tipo politico”. Questo, secondo i giudici siciliani, “non trasforma l’atto amministrativo in atto politico insindacabile tout court solo perché ispirati da un ‘movente politico’”. L’atto di Salvini “costituisce piuttosto un atto amministrativo che, perseguendo finalità politiche ultronee rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento, ha determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, che hanno comportato l’intriseca illegittimà dell’atto amministrativo censurata da questo Tribunale. Del resto, conferma del fatto che non ci si trovi dinanzi a un atto politico – proseguono i giudici – discende dalla circostanza che la decisione del ministro dell’Interno ha avuto diretta e immediata refluenza sulla sfera giuridica soggettiva e individuale dei migranti, lesi nel diritto inviolabile della libertà personale, dovendosi altrimenti ritenere che non possa esservi tutela giurisdizionale a fornte della lesione di un diritto qualificato come inviolabile della Carta Costituzionale italiana nonché dalla Convenzione europea sui diritti dell’Uomo”. È su queste valutazioni che dovranno esprimersi i senatori.

Fontana: “Se M5s vota sì conseguenze politiche” – Nelle dichiarazioni politiche, però, le carte del tribunale siciliano trovano poco spazio. Il vicesegretario e ministro del Carroccio, Lorenzo Fontana, ha già anticipato quale sarà la – peraltro ovvia –  posizione del partito: “Indagate anche me, a questo punto. Sono nello stesso governo, condivido le azioni, sono quindi un complice. Anzi, dovrebbe essere indagato tutto il governo visto che in Consiglio dei ministri non ho mai sentito dei distinguo rispetto alla sua azione. Forse non tutti hanno l’intelligenza o il coraggio di capire quanto grave sia questa situazione”. Lo stesso medesimo tono usato dai due capigruppo leghisti Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari:”Processare chi, nell’esercizio delle sue funzioni di Ministro dell’Interno, ha contemporaneamente agito nel pieno rispetto delle leggi e della Costituzione e ottemperato al mandato ricevuto dagli elettori, quello cioè di garantire rispetto delle regole e delle normative, significa inequivocabilmente tentare di processare il governo“. Dichiarazioni che sembrano una replica all’annuncio di Luigi Di Maio, che ha spiegato – confermando quanto anticipato da Gianluigi Paragone – come il M5s intenda votare per il processo a Salvini: all’interno dell’organo parlamentare i Cinquestelle hanno sette senatori, compresa la vicepresidente Grazia D’Angelo. Ne fa parte anche Gregorio De Falco, che però è stato espulso dal Movimento per la sua “dissidenza“. “Se il M5s vota a favore non sarà crisi”, ha garantito Salvini nei giorni scorsi. Il suo braccio destro Fontana, però, non ne sembra convinto: “Se da parte del M5S ci dovesse essere la scelta del voto favorevole all’autorizzazione a procedere questa avrà inevitabilmente delle conseguenze politiche“. L’ennesimo elemento che dimostra come quello della Diciotti possa anche trasformarsi in un caso politico all’interno del governo.

L’ipotesi del voto in Giunta: 12 sì a 9 no – Vorrebbero mandare Salvini a processo i quattro senatori del Pd – tra i quali c’è il vicepresidente Giuseppe Cucca – che fanno parte della giunta e considerano “seria e ben documentata la richiesta del tribunale dei ministri”. D’altra parte si è espresso in questo senso lo stesso Matteo Renzi. Non è chiaro invece come intendano votare gli esponenti di Fratelli d’ItaliaForza Italia: con tutta probabilità a favore di Salvini. “Non dirò altro se non nelle sedi adeguate. Sono un politico, non un magistrato”,  ci ha tenuto a sottolineare il presidente Gasparri, tra i leader di un partito storicamente lontanissimo dalle toghe. Considerato come favorevole al processo di Salvini il voto di Piero Grasso, in giunta dovrebbero esserci 12 voti per il sì all’autorizzazione a procedere e 9 contrari. A quel punto sarà l’Aula ad esprimersi: se tutti i 52 senatori del Pd seguiranno l’indicazione di Renzi, insieme ai 107 voti del M5s, saranno in 159 a esprimersi per il processo del ministro. A mandare Salvini a processo sarà la maggioranza del ramo del Parlamento dove lo stesso leader della Lega è stato eletto.

Da Agrigento a Catania: storia dell’inchiesta – Va detto che sulla questione la stessa magistratura si è spaccata. Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della procura di Agrigento di Luigi Patronaggio, infatti, quella di Palermo di Francesco Lo Voi ha fatto cadere alcuni reati a carico del ministro contestando solo il sequestro di persona aggravato. Poi il tribunale dei ministri del capoluogo siciliano si è spogliato dell’inchiesta non considerandosi competente a livello territoriale. Il fascicolo è stato inviato a Catania, dove il procuratore Carmelo Zuccaro aveva chiesto l’archiviazione considerando quella di Salvini “una scelta politica non sindacabile“. Gli atti sono quindi finiti sul tavolo del tribunale dei ministri della città etnea, che invece hanno deciso di chiedere l’autorizzazione a procedere per il titolare del Viminale. Che in caso di via libera del Senato, sarebbe processato sempre a Catania ma dal tribunale ordinario.

Alemanno e Calderoli: i precedenti – Una scelta che sembra più politica che giudiziaria: lo testimoniano i precedenti, tutt’altro che omogenei. Il 2 aprile del 2015, per esempio la stessa giunta del Senato – a maggioranza di centrosinistra – ha dato l’ok all’autorizzazione a procedere arrivata dalla procura di Venezia per Altero Matteoli, per reati che sarebbero stati compiuti da ministro dell’Ambiente e poi delle Infrastrutture dei governi Berlusconi. In quel caso, però, si parlava di casi di presunta corruzione per le opere di bonifica dei siti industriali di Marghera. Il 29 febbraio del 2012, invece, la maggioranza berlusconiana – ma in quel momento il premier era Mario Monti – aveva rigettato alla richiesta della procura di Roma per il leghista Roberto Calderoli, accusato di aver usato l’aereo di Stato per scopi impropri ai tempi in cui era ministro. Al contrario, l’1 febbraio del 2006, era arrivato il via libera per Gianni Alemanno, accusato di aver ricevuto 85mila euro da Calisto Tanzi ai tempi in cui era ministro delle politiche Agricole. A testimonianza di come quello sulle autorizzazioni a procedere sia spesso un voto più politico che giudiziario.