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Brexit: dall’intesa in extremis al no deal, da una nuova deadline al referendum bis. Cosa può accadere dopo la fiducia a May

Dopo la bocciatura dell'accordo con Bruxelles da parte della Camera, il leader laburista Corbyn ha presentato una mozione di sfiducia contro la premier che sarà votata intorno alle 20 ora italiana. Ma gli oppositori alla bozza non sembrano disposti a provocare una crisi di governo: ecco, quindi, i quattro possibili scenari

Il giorno dopo il voto di Westminster che ha bocciato senza appello l’accordo raggiunto tra Londra e Bruxelles sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, la resa dei conti alla House of Commons non è finita, visto che ieri Theresa May ha lanciato il guanto di sfida ai detrattori del testo: “Sfiduciatemi”. Così il leader laburista Jeremy Corbyn non si è fatto pregare e ha presentato una mozione di sfiducia che sarà votata intorno alle 19.00, le 20.00 in Italia, di mercoledì. Solo dopo questo secondo e, per il momento, ultimo voto si riuscirà a capire quali opzioni rimarranno sul tavolo, anche se dalle dichiarazioni di alcuni oppositori alla bozza non sembra che siano disposti a provocare una crisi di governo che consegnerebbe il potere esecutivo in mano ai laburisti. Negoziati con opposizioni e alleati scontenti per cercare un accordo in extremis, chiedere a Bruxelles un prolungamento del periodo di transizione per arrivare a una nuova stretta di mano, hard Brexit o nuovo referendum con la possibilità di uno stop unilaterale all’applicazione dell’articolo 50: sono questi, al momento, i quattro possibili scenari dopo il voto di fiducia.

May rimane in carica e torna a negoziare
Se, come sembra dalle dichiarazioni di voto, la mozione di sfiducia nei confronti di Theresa May non dovesse essere approvata, la premier ha già dichiarato di essere pronta a rimanere alla guida del governo per portare a casa un accordo definitivo con Bruxelles che accontenti la maggioranza dei Parlamentari britannici. Il tutto entro la deadline del 29 marzo, data entro la quale la Brexit dovrà concretizzarsi. Questa rimane l’opzione preferita da Theresa May, anche se è consapevole che per ottenere un accordo sarà necessario recuperare il sostegno di coloro, alleati e non, che nel voto del 15 gennaio hanno bocciato il testo proposto alla House of Commons. Tra questi ci sono, indubbiamente, gli unionisti nordirlandesi del Dup, preoccupati dalla prospettiva di un backstop a oltranza, con l’Irlanda del Nord che rimarrebbe di fatto nel mercato unico europeo e il resto del Regno, invece, in un’unione doganale. Questa barriera tra Belfast e Londra è ciò che ha convinto il Dup a bocciare la bozza, temendo l’isolamento dell’Irlanda del Nord dal resto della Gran Bretagna.

May, inoltre, dovrà ricompattare anche il proprio partito, visto che a votare contro l’accordo sono stati anche 118 membri conservatori. Se i sostenitori della hard Brexit sono irrecuperabili se si vuol puntare a un nuovo accordo, a dover essere convinti sono coloro che hanno bocciato il testo con la speranza di indire un nuovo referendum e votare a favore del Remain. Theresa May, però, è stata chiara: con lei al timone, l’opzione di un blocco alla Brexit viene dopo il no deal. Un accordo più favorevole, magari, potrebbe accontentare questa ala del partito conservatore, spaventato anche dalla crescita dei consensi in favore dei laburisti.
E proprio i laburisti potrebbero rappresentare l’altro soggetto con il quale intavolare trattative. Jeremy Corbyn ha già teso la mano al primo ministro, dicendosi disponibile a una trattativa. Sul piatto, il leader della sinistra inglese ha messo i voti del suo partito in cambio di un accordo che preveda un’unione doganale permanente. “Una violazione della volontà popolare”, inaccettabile per l’inquilina del 10 di Downing Street che, arrivati a questo punto, potrebbe però decidere di scendere a compromessi per evitare quelli che a suo dire sarebbero mali peggiori, come una hard Brexit o un nuovo referendum.

Allungare i tempi per i negoziati
L’altra opzione che sarebbe sul tavolo di Bruxelles, anche se lo stesso presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha evitato di parlarne “per evitare speculazioni”, è quella che vorrebbe le istituzioni europee pronte a concedere uno spostamento della deadline per raggiungere un accordo definitivo, magari a luglio. Un’opzione che sarebbe stata meno problematica se in mezzo, a maggio, non ci fossero state le elezioni europee. Far slittare l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue vorrebbe dire mettere un grande punto interrogativo sul futuro delle istituzioni europee, a partire dal Parlamento. A Bruxelles si dovrebbe decidere in gran fretta cosa andranno a votare i cittadini dell’Unione: un Parlamento da 705 membri con i seggi degli eurodeputati britannici parzialmente ripartiti tra i Paesi o un’assemblea identica a quella attuale, con 750 deputati di cui 73 britannici?
Se, in ogni caso, l’Unione europea decidesse di concedere questa opzione, chiederebbe certamente maggiori garanzie. Il sogno non nascosto dei vertici Ue è quello di un dietrofront sulla Brexit, con la Gran Bretagna che rimarrebbe membro dell’Unione. Un’opzione difficilmente realizzabile fino a quando Theresa May rimarrà in carica. Il punto d’incontro, allora, si potrebbe trovare a metà strada: la ricerca di un nuovo accordo che soddisfi tutte le parti in causa con l’impegno di dimissioni da parte della premier britannica nel caso di una nuova impasse parlamentare, con i negoziatori europei che potrebbero, a quel punto, portare sul tavolo del nuovo governo l’opzione del dietrofront per evitare quello che considerano il male peggiore: una hard Brexit.

Theresa May tira dritto verso la hard Brexit
Se il governo deve affondare, è anche possibile che Theresa May decida di trascinare con sé tutta la nave. La premier britannica, dopo un eventuale voto di fiducia, potrebbe decidere di compiere un ultimo e disperato sforzo per raggiungere un accordo. Se non ci riuscisse, l’ultima opzione sul tavolo sarebbe una Brexit senza accordo, soluzione estrema che la leader conservatrice ha sempre usato come spauracchio contro le opposizioni, ma che sembra comunque preferire a un nuovo referendum. Questa è una prospettiva che scontenterebbe quasi tutti a Westminster, eccezion fatta per i falchi conservatori sostenitori di una hard Brexit in nome del voto popolare. Certamente sarebbe una soluzione che scontenterebbe Bruxelles.

Sfiducia a Theresa May, tocca al nuovo esecutivo tracciare la rotta
L’opzione che, al momento, sembra più lontana dal realizzarsi è quella che porta alla sfiducia del governo, visto che Dup e Tories si ricompatteranno nel voto di mercoledì per evitare di consegnare il Paese in mano all’opposizione laburista. Nel caso in cui l’esecutivo cadesse, Jeremy Corbyn avrebbe due settimane per mettere insieme una maggioranza che prenda in mano il dossier Brexit. In questo caso, la spavalderia mostrata dal 69enne della hard left dovrebbe fare i conti con la necessità, fino ad oggi evitata, di prendere posizione sul futuro del Paese. Le opzioni sono due: seguire il voto popolare e le richieste della classe operaia della periferia inglese che chiede di tirare dritto sull’uscita dall’Unione europea, oppure ascoltare la base del partito che, secondo gli ultimi sondaggi, sarebbe al 72% favorevole a un nuovo referendum e, in caso di voto, all’88% metterebbe la crocetta sul Remain. Una situazione, questa, che rischia in ogni caso di provocare un’emorragia di voti tra i laburisti, ma che rappresenta al momento l’unica opzione per chi spera di trattenere ancora la Gran Bretagna dentro l’Unione europea.

Twitter: @GianniRosini