Cinema

SantiagoItalia, un grazie a Nanni Moretti per un documentario bello e di sinistra

Dobbiamo davvero ringraziare Nanni Moretti per avere girato SantiagoItalia, un bel documentario che rende omaggio a una bella stagione del nostro Paese e ad alcuni nostri concittadini che, rappresentando il nostro Paese all’estero, seppero incarnarla nel migliore dei modi onorando l’immagine e il prestigio dell’Italia nel mondo intero. La vicenda è quella delle centinaia di rifugiati in fuga di fronte alle orde assassine di Augusto Pinochet che trovarono rifugio nella nostra ambasciata a Santiago nei giorni immediatamente seguenti al colpo di Stato dell’11 settembre 1973. Il documentario li intervista, unitamente ai due diplomatici, Piero De Masi e Roberto Toscano, che si trovavano in quei giorni alla direzione dell’Ambasciata e che, al contrario di altri diplomatici stranieri, decisero di tenerne aperte le porte ai rifugiati che, rischiando ogni volta di venire mitragliati dagli sbirri dei golpisti, riuscivano in qualche modo a entrarvi.

Era un Paese molto diverso da quello attuale. C’era Sandro Pertini, non Matteo Salvini. C’era Enrico Berlinguer, non Luigi Di Maio. Aldo Moro, non Matteo Renzi. Pietro Nenni e Umberto Terracini, non Silvio Berlusconi e Marco Minniti. Tina Anselmi, non Giorgia Meloni. Eravamo fieri di essere italiani, mentre a volte oggi ce ne vergogniamo. Eravamo governati da una classe politica che discuteva e litigava ma su questioni di fondo e di principio e si era formata nel fuoco della Resistenza, della Costituzione e della costruzione della Repubblica. Non da una congrega di mestieranti chiacchieroni cui interessa solo apparire sui social media a beneficio di una massa a sua volta sempre meno dotata di riferimenti ideali.

Chiaro che in una situazione del genere non fosse un problema assorbire dei rifugiati, anche se già all’epoca ci fu qualche codardo che evocò il pull-effect, mettendo in guardia dall’accoglienza. Non lo fu anche perché il Paese, pur in preda al più intenso conflitto sociale e politico del dopoguerra che durò dal 1968 al 1975, funzionava molto meglio di adesso.

Il primo insegnamento che si può trarre da SantiagoItalia è quindi che un Paese coeso riesce ad accogliere e integrare chi fugge perché costretto ad abbandonare il Paese di provenienza. La solidarietà, se esiste, vale sia per gli “italiani” che per gli “stranieri”. Se non c’è o scarseggia, come purtroppo accade oggi, non c’è o scarseggia per nessuno. Quella solidarietà nei confronti degli “italiani”, che leghisti e simili contrappongono a quella nei confronti dei migranti e richiedenti asilo, è pura retorica. Avete mai visto soggetti del genere mobilitarsi a sostegno degli operai licenziati o dei cittadini sfrattati? Le storie dei rifugiati che vengono raccontate dal documentario sono storie di successo, perché sono le storie e le vite di persone che non solo sono riuscite a salvarsi dalla brutale repressione dei golpisti, ma anche a dare un contributo importante sia al nostro Paese che a quello da cui provenivano. I vari Salvini, Minniti, ecc., dovrebbero essere obbligati a guardarlo per almeno 20 volte di seguito.

Il secondo insegnamento riguarda invece la storia del Cile e quella dell’America Latina più in generale. La prima parte tratteggia in modo efficace gli anni che precedettero il golpe, con il costante sabotaggio del governo democraticamente eletto di Salvador Allende, che dovette subire il boicottaggio economico e politico delle forze dominanti a livello internazionale, a cominciare dagli Stati Uniti e dalle loro multinazionali.

Come non pensare ad esperienze più recenti avvenute su quel continente, come soprattutto quella venezuelana? Se il Venezuela non è finito come il Cile ciò si deve al fatto che la coscienza rivoluzionaria di quel popolo è andata oltre i pur importanti passaggi elettorali (praticamente sempre vinti dai chavisti) e ha saputo costruire in modo efficace quello che purtroppo in Cile esistette solo in modo tardivo ed embrionale, e cioè il contropotere popolare armato, basato sull’alleanza civico-militare fra il popolo organizzato e le Forze armate, non asservite al potere imperiale ma espressione a loro volta dell’orgoglio nazionale. I popoli imparano dalle sconfitte, dobbiamo augurarci che ciò valga anche per il nostro, che di sconfitte ne ha collezionate parecchie negli ultimi 40 anni: basti guardare come eravamo nel 1973 e come ci siamo ridotti ora.