Diritti

Maternità, giuslavorista: “L’opzione di lavorare fino al parto? Espone a ricatti”. Ginecologi: “Valutazione caso per caso”

Vincenzo Martino, vicepresidente dell’associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani, è contrario alla possibilità inserita nella manovra: "Il consenso può essere condizionato dalla pressione del datore". Medici non unanimi: per il vice presidente della Società italiana di ginecologia è consigliato mantenersi attive fino al nono mese, mentre la numero uno dell'Associazione Ginecologi Consultoriali consiglia cautela: "Rischio gestosi se ci si stressa"

Rischi per la salute di mamma e figlio dovuti allo stress e lavoratrici troppo esposte a eventuali pressioni dei datori di lavoro. Continua a far discutere l’emendamento della Lega alla manovra, approvato dalla commissione Bilancio della Camera, che prevede per le lavoratrici in gravidanza la possibilità di restare al lavoro fino alla data del parto, godendo di tutto il periodo di astensione (5 mesi) dopo la nascita del figlio. Un’alternativa rispetto al sistema attuale che impone l’obbligo di astensione (di uno o due mesi) prima della nascita del bambino. Fa discutere sotto diversi aspetti: dalla necessità di tutelare i diritti delle lavoratrici, a quella di salvaguardare la salute di mamme e nascituri. Rischi e tutele a parte, moltissime donne in Italia già oggi scelgono l’alternativa di godere di un solo mese di astensione dal lavoro prima del parto, potendo sfruttarne poi quattro dopo la nascita. La considerano una opportunità e ‘resistono’ fino all’ottavo mese. Sulla carta anche questa nuova alternativa potrebbe essere una possibilità per le donne lavoratrici, le mamme in carriera e tutte quelle abituate a destreggiarsi tra lavoro e vita privata. Se non comportasse, appunto, dei rischi.

IL RISCHIO DEI RICATTI DEL DATORE DI LAVORO – Se infatti per Loredana Taddei, responsabile politiche di genere della Cgil, l’emendamento va “immediatamente modificato” perché “mina la libertà delle donne, soprattutto di quelle più precarie e meno tutelate”, per Vincenzo Martino, vicepresidente nazionale dell’associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani (Agi), si tratta di una modifica “pericolosa”. “È vero che sulla carta si tratta di una scelta volontaria a cui non si potrà far seguito per determinate tipologie di lavori e senza il via libera del medico – spiega Martino a ilfattoquotidiano.it – ma è proprio questa volontarietà a esporre la lavoratrice al ricatto del datore di lavoro”. Per Martino, infatti, nell’ordinamento italiano la tutela della lavoratrice e i diritti in generale sono effettivi se sono inderogabili, perché in questo caso è lo Stato che garantisce. “Significa che il diritto in questione non può venire meno, neanche con il consenso della lavoratrice stessa – aggiunge – perché quel consenso può essere condizionato dalla pressione che il datore di lavoro è in grado di esercitare in forza di un rapporto tra due contraenti non alla pari”.

IL GIUSLAVORISTA: “MEGLIO TUTELARE LE DONNE PIÙ ESPOSTE – Sono diversi gli strumenti con cui esercitare questa pressione: il datore di lavoro può minacciare il cambio di un turno, piuttosto che un trasferimento o un licenziamento non immediato. “A riguardo – ricorda il vicepresidente dell’Agi – esiste una sentenza della Corte costituzionale che dice che il licenziamento della lavoratrice comunicato durante la maternità è nullo anche se si riferisce a un’interruzione del rapporto di lavoro una volta finito il periodo di tutela”. Questo proprio perché anche solo la comunicazione può influenzare la serenità della lavoratrice nel periodo di gravidanza e condizionare l’evoluzione della gestazione. “Personalmente – commenta Martino – credo sia davvero difficile, se non impossibile, garantire sulla genuinità di quel consenso e per questo sono convinto che sia meglio togliere ad alcune donne questa opportunità, piuttosto che rischiare che si trasformi in un rischio per altre, anche se si dovesse trattare di una minoranza”.

LA TUTELA DELLA SALUTE – La questione si intreccia con quella della tutela della salute per le mamme e i nascituri. E i pareri, a riguardo, non sono del tutto unanimi. Perché se per il vice presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), Vito Trojano, intervenuto sulla questione, “lavorare fino al termine della gestazione, oltre che possibile, è anche consigliato per mantenersi in attività, a patto che non ci siano controindicazioni di tipo clinico”, è più prudente Giulia Zinno, presidente dell’Associazione Ginecologi Consultoriali, che nell’emendamento vede sì un’opportunità, ma non priva di rischi. “Il mio consiglio è quello di godersi almeno per l’ultimo mese un momento davvero speciale nella vita di una donna”, dice a ilfattoquotidiano.it.
“Continuare a lavorare fino al termine della gestazione, se non ci sono problemi particolari, non rappresenta assolutamente un rischio – sostiene Trojano – ma moltissimo dipende ovviamente dal tipo di lavoro che si svolge. In gravidanza avanzata, è ovvio che non sia ottimale un lavoro particolarmente faticoso fisicamente e che si protrae per molte ore di seguito”. Detto ciò, sarebbe comunque sempre necessario il certificato di via libera del ginecologo. Secondo Trojano “i rischi sussistono solo se ci sono particolari condizioni della gestante: lavorare fino al nono mese incluso è ad esempio controindicato se la donna ha avuto minacce d’aborto, se ci sono problemi alla placenta, se c’è il rischio di rottura prematura delle membrane”. Anche per Giulia Zinno “la gravidanza non è una malattia” e l’opportunità di lavorare fino al nono mese “va valutata caso per caso”, ma questa alternativa qualche perplessità la crea “perché si arriva al termine della gravidanza anche in condizione di maggior impegno metabolico per la donna, l’organismo è più appesantito e i significativi cambiamenti climatici degli ultimi anni in questo senso non aiutano, soprattutto nella stagione estiva”. Gli ultimi mesi sono quelli dei controlli più frequenti dei tracciati, magari da rifare a distanza ravvicinata senza che la lavoratrice possa programmare con anticipo l’assenza dal lavoro. A tutto ciò, per molte lavoratrici, si aggiunge lo stress di raggiungere il luogo di lavoro.

LA PERCEZIONE DEL RISCHIO E LA CONDIZIONE PSICOLOGICA – “È vero che anche per chi sceglie questa opzione – aggiunge Giulia Zinno – se ci dovessero essere delle complicazioni il medico può far scattare l’astensione, ma è altrettanto vero che se stanno bene, le gestanti non sempre hanno la percezione del rischio”. Inoltre molte donne arrivano stressate e impreparate al giorno del parto. I rischi? “La gestosi è uno di questi. Dalla mia esperienza – spiega la presidente dell’Associazione Ginecologi Consultoriali – non è inusuale che le lavoratrici particolarmente stressate, soprattutto quelle autonome che fino all’ultimo cercano di lavorare il più possibile, vadano incontro a problemi di questo genere. La condizione di stress, spesso sottovalutata, provoca una vasocostrizione dei vasi placentari che riduce l’ossigenazione del feto”. Un consiglio? “Non dico che lavorare al nono mese sia sbagliato in assoluto, ma io consiglierei di pensare che il parto è un punto di partenza, non di arrivo e di cercare di arrivare al post partum nelle migliori condizioni psicologiche possibili”.