Cultura

Europee, ma anche arabe. Una generazione ‘ibrida’ di scrittrici si racconta

di Federica Pistono*

Nella Francia degli anni Ottanta è nata e si è sviluppata la littérature beur, dal francese arabe, dove in gergo il termine beurs indica i figli degli immigrati maghrebini. Erano gli anni in cui una generazione di giovani di origini arabe, nati e cresciuti nelle periferie delle città francesi, cominciava a raccontarsi attraverso i libri, raffigurando la vita quotidiana dei figli degli immigrati nordafricani in quelle banlieue così vicine ma così lontane dal centro della città, e le vicende di una fascia di popolazione che non conosceva ancora bene la società francese in fase di trasformazione.

In tutta l’Europa è ben presto sorta una narrativa che è stata definita “ibrida”, essendo scritta in una lingua europea da autori di origine araba e di religione islamica. In Italia, il fenomeno degli scrittori di seconda generazione di origini arabe e di religione musulmana è più recente e, al suo interno, un posto di rilievo è occupato dalla scrittura femminile. Le questioni che soprattutto emergono nelle opere di queste autrici sono i temi dell’identità, del senso di appartenenza, del conflitto interiore tra le radici culturali del Paese di origine e le modernità dell’Europa, delle ibridazioni culturali, dell’arricchimento delle diversità culturali, ma anche del peso di stereotipi e pregiudizi.

La prima scrittrice di questo nuovo corso è Randa Ghazy, cresciuta a Saronno, il cui romanzo autobiografico ha un titolo ironico: Oggi forse non ammazzo nessuno. Storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista (Fabbri, 2007). L’opera, ripubblicata da Rizzoli nel 2016, narra la storia di Jasmine, una giovane donna nata in Italia da genitori egiziani, musulmana, laica. Il romanzo si impernia proprio sulla questione dell’identità, sull’impossibilità per la protagonista di scegliere tra due identità, appartenendo ai due mondi: rinnegare l’uno o l’altro significherebbe per lei snaturarsi. Il personaggio permette all’autrice di esternare il disappunto per il modo in cui le seconde generazioni sono trattate e la questione del multiculturalismo viene gestita in Italia. Il problema principale della scrittrice e del suo personaggio è quello di essere riconosciuta e accettata come un’italiana musulmana.

Nel 2008 Sumaya Abdel Qader, nata a Perugia da genitori giordani, descrive la maturazione di una generazione sullo sfondo dei mutamenti della società italiana. Nel suo Porto il velo, adoro i Queen. Nuove italiane crescono (Sonzogno), l’autrice racconta le difficoltà della vita di Sulinda, giovane musulmana velata: camminare per la strada, andare in palestra, al mare, entrare in un negozio, tutto questo assume per lei connotazioni diverse che per le altre ragazze. Quello che per le sue coetanee è normale, per lei diventa un’avventura spesso traumatica. Ma chi è la protagonista? È italiana o araba? Normale o diversa? Anche in quest’opera la questione dell’identità è centrale, la protagonista è in bilico tra due mondi, non può rinunciare a uno di essi senza perdere una parte essenziale di sé.

Più recente è Islam in love (Jouvence, 2017), il romanzo di esordio di Rania Ibrahim, figlia di immigrati egiziani, giunta in Italia all’età di due anni. Il romanzo focalizza l’attenzione sui rapporti tra giovani appartenenti a mondi diversi, tra ragazzi musulmani di origine araba e i loro coetanei nelle città e nelle scuole europee. Il libro, ambientato in Gran Bretagna, racconta la delicata storia d’amore tra Laila, giovane inglese di origine egiziana, musulmana velata, e Mark, figlio di un leader dell’estrema destra locale. Una passione proibita, condannata dalle due famiglie e dalle due comunità. Laila si racconta in tutte le sue contraddizioni, stretta tra due mondi che appaiono troppo distanti. Quello dell’amore e del sesso è il territorio, seppur proibito, in cui avviene l’incontro tra i due universi, in cui i due protagonisti diciottenni si spogliano dei propri simboli e dei propri schemi, riuscendo ad amarsi come due esseri umani, al di là delle sovrastrutture.

Dalla Francia giunge il romanzo di Faïza Guène, Un uomo non piange mai (Il Sirente, 2017), in cui viene affrontata la questione dell’integrazione in Francia dei giovani di origine araba: tre fratelli, nati in Francia da genitori algerini e musulmani, gestiscono la questione dell’integrazione e dell’identità ciascuno in un modo diverso. La sorella maggiore si sforza in ogni modo di adeguarsi al modello francese, a costo di spezzare il legame con la famiglia di origine. Per la seconda sorella, il problema dell’integrazione e del contatto con la società francese quasi non si pone, giacché sposa un giovane algerino e musulmano come lei ed evita di uscire dalla cerchia di amici e parenti di origine araba. Il terzo fratello giunge a un compromesso, adeguandosi allo stile di vita francese senza rinunciare alla proprie radici arabo-islamiche. Il messaggio più forte che l’autrice ci consegna è l’importanza di costruire validi legami affettivi per essere felici, un messaggio universale che supera la questione delle origini e delle appartenenze culturali.

Anche l’autrice franco-marocchina Sophia Azzedine racconta, nel suo romanzo La Mecca-Pukhet (Il Sirente, 2017), la storia di Fairuz, figlia di immigrati marocchini in Francia, che lotta ostinatamente per emanciparsi dalle sue origini. La graphic novel Se ti chiami Mohamed di Jérôme Ruilier, (Il Sirente, 2016) costituisce un racconto originale e coraggioso della storia dell’immigrazione araba in Francia. Ispirandosi anche al giornalismo investigativo, l’autore ripercorre l’itinerario migratorio dal Nord Africa alla Francia e la nascita delle seconde generazioni, focalizzando l’attenzione sulle tematiche delle ricerca della propria identità e dell’integrazione, ma anche sulle difficoltà connesse all’esclusione sociale e al razzismo.

*traduttrice ed esperta di letteratura araba