Tecnologia

Antitrust contro l’obsolescenza programmata. Ma il problema è anche della politica

La recente sentenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha sanzionato Apple e Samsung per “obsolescenza programmata”, è effettivamente una decisione che appare storica, visto che ha riconosciuto che le due aziende “hanno indotto i consumatori ad installare aggiornamenti su dispositivi che non erano in grado di supportarli” e pertanto, in virtù dell’asimmetria informativa naturalmente esistente tra produttore e consumatore hanno attuato una “pratica commerciale scorretta”.

Però, nella mia visione, la portata storica non è tanto nel fatto che questa sia la prima decisione di questo genere in Italia, quanto piuttosto nel fatto che la giurisprudenza riconosce “nero su bianco” che il digitale è parte integrante della società. Così come nei due secoli passati le decisioni delle autorità anti-trust in tutto il mondo, rompendo cartelli e posizioni dominanti, hanno favorito l’innovazione e lo sviluppo della società, nello stesso modo si sta capendo che tutte quello che accade nel mondo digitale non è virtuale ma assolutamente reale.

Qual è allora il problema? In Italia, ma non solo – ché mai come in questo caso è vero il detto “tutto il mondo è paese” – la politica non riesce a capire quanto ormai la tecnologia informatica sia inestricabilmente intrecciata alla vita reale e non riesce a capire cosa questa tecnologia davvero comporti. Ormai da quasi dieci anni ripeto che l’automazione informatica è completamente incompresa – al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori – per il semplice fatto che viene considerata come l’automazione tradizionale quando in realtà è molto più di questo. Più recentemente ho argomentato che quella dell’informatica è la terza rivoluzione nei rapporti di potere nella storia dell’umanità.

In sintesi, a beneficio dei lettori troppo pigri per seguire i link, con l’informatica è la prima volta nella storia dell’umanità che funzioni cognitive tipiche dell’essere umano vengono eseguite da una macchina. Ma senza la flessibilità e l’adattabilità delle persone! Ed in questa differenza “di dettaglio” si annida il tradizionale diavolo del proverbio. Se non si capisce questo, non si capisce la reale portata “rivoluzionaria” dell’informatica. Un po’ ce ne stiamo accorgendo, con i vari scandali legati alla violazione della privacy degli utenti, con l’apparente incontenibile potere dell’Intelligenza artificiale, ma in ultima analisi le persone non riescono a comprendere a fondo cosa questo comporti.

Il punto è che al mondo dei sistemi materiali e dei sistemi viventi si è affiancato un mondo dei sistemi digitali che nessuno conosce davvero. La stragrande maggioranza dell’umanità è immersa in questo da appena un ventennio, troppo poco nella scala dell’evoluzione biologica e culturale per consentirci di sviluppare organi di senso e modalità di ragionamento appropriate. Ogni precedente rivoluzione tecnologica ha avuto tempi almeno tre o quttro volte più lenti. Ed erano cambiamenti che non avvenivano, come quello del digitale, sul piano cognitivo, ma su quello fisico.

La televisione permette al singolo di parlare a tutta l’umanità, l’aereo permette al singolo di raggiungere ogni angolo del mondo: si tratta di parola-udito, si tratta di movimento fisico. La capacità di dedurre, sulla base dei tuoi dati personali e di interazione sociale, se potrai votare o meno per un candidato, fino a dieci anni fa era alla portata solo di persone appositamente addestrate. Adesso – come altre elaborazioni della stessa natura – è alla portata di chiunque abbia sufficienti risorse a disposizione (e almeno un 1 per mille dell’umanità le ha) e il tutto è avvenuto in un tempo troppo breve perché l’umanità potesse sviluppare la capacità di gestire queste asimmetrie. L’unica strada è investire nell’istruzione, a scuola e fuori.

E quindi? E quindi il problema è prima di tutto politico. Perché qui è in gioco il futuro della nostra società: far sì che questa tecnologia (fantascienza fino a 50 anni fa) venga usata per far star meglio la maggior quantità possibile di persone oppure lasciarla liberamente usare da chi è più forte per incrementare la sua posizione di dominanza. È un problema politico, che spero che ogni governo che aspira sul serio a “cambiare il futuro” faccia proprio. Come ha magistralmente scritto Morozov qualche anno fa (I signori del silicio) “per un partito di massa odierno, non curarsi della propria responsabilità sul digitale equivale a non curarsi della propria responsabilità sul futuro stesso della democrazia”. Che vogliamo fare?