Cinema

Festival di Venezia 2018, David Cronenberg Leone d’oro: tra l’elogio di Netflix e La Strada di Fellini

l regista canadese, Leone alla Carriera a Venezia 75, come sempre non lascia delusi. La sua masterclass, tenutasi al palazzo del cinema di fronte a più di duecento fan entusiasti, è stata la perorazione di una causa a senso unico: l’utilità e la modernità di Netflix. Poi il ricordo di quel cinema che proiettava il capolavoro del maestro italiano e da cui tutti uscivano piangendo

Netflix è come la Tesla. E non a torto tutti e due creano un giusto scompiglio”. Parola di David Cronenberg. Il regista canadese, Leone alla Carriera a Venezia 75, come sempre non lascia delusi. La sua masterclass, tenutasi al palazzo del cinema di fronte a più di duecento fan entusiasti, è stata la perorazione di una causa a senso unico: l’utilità e la modernità di Netflix. Il 75enne autore di capolavori come La Mosca e Videodrome ha spiegato, divertendo assai la platea, il paragone tra l’impresa di Ted Sarandos e l’azienda produttrice di auto elettriche spiegando che “il motore a scoppio è morto” e che lui ha “acquistato da tempo una macchina elettrica che è perfetta”. Insomma il futuro del cinema, secondo Cronenberg, è Netflix. Vuoi che non sia per una serie tv che pare in produzione per il team della N maiuscola rossa, e a chi glielo chiede con insistenza il regista risponde fischiettando, ma l’adorazione per l’impresa che distribuisce film via web è una vera e propria infatuazione.

“Il cinema ha sempre vissuto grandi sconvolgimenti e non sarà mai uguale. Ci sono molti miei colleghi che vivono di un effetto nostalgia, parlano di esperienza sacra come Pedro Almodovar. È una sorta di comunità che adora qualcosa come la sala cinematografica che diventerà un po’ retrò. Poi certo vedere Lawrence d’Arabia sull’Apple Watch non è proprio la scelta migliore, ma ho visto The shape of water in BlueRay su un 50 pollici al plasma ed è stata un’esperienza di visione migliore di quella che ho vissuto in sala per lo stesso film. A proposito siete tutti i benvenuti a casa mia a Toronto nel mio salotto per altre visioni”.

Insomma, Cronenberg sale sul carro di Netflix, anche perché, precisa, recentemente ci sono stati momenti molti lunghi in cui non è andato a vedere film in sala (“non trovavo parcheggio”, risponde sornione ma non proprio scherzando). Un innamoramento che sembra essere anche legato alle infinite possibilità di scrittura per le serie tv, prodotto top di Netflix: “Ne Il pasto nudo e Cosmopolis, che sono tratti da romanzi ho cancellato ovviamente un sacco di dialoghi e scene che per motivi di tempo del film non potevo utilizzare. Ma non sono l’unico. Ad esempio in Pastorale Americana di Roth ci sono conversazioni eccezionali di 20 pagine impossibili da trascrivere per un film da distribuire nei cinema. Invece nelle serie questa operazione si può fare”. E allora Cronenberg, che aveva spiegato a tutti che non avrebbe voluto parlare dei suoi film passati, giocoforza fa rientrare un po’ di memoria ed aneddotica di una carriera di oltre cinquant’anni.

“Quando Jeremy Thomas mi propose di girare Il Pasto Nudo conobbi di persona William Burroughs. Lo andai a trovare in Kansas dove viveva. Giocammo con le pistole. Mi fece i complimenti su come sparavo. Poi gli dissi che per fare il film avevo bisogno di capire e parlare anche di quando aveva ucciso sua moglie. Era un cinico, ma anche molto dolce. Mi disse ‘non c’è problema, separo sempre la vita dal lavoro”. L’ora di chiacchierata cronenberghiana, lui tutto di nero vestito e con la solita splendida zazzera sempre più bianca, sfiora l’effetto scandalo che fece Crash a Cannes, l’amore per i droni da usare per girare sequenze filmate, la sterilità di Hollywood nel ritornare spesso a fare remake (si sta preparando un rifacimento del suo Rabid, per dire) e l’ispirazione filosofica del suo lavoro: “Amavo gli esistenzialisti alla Sartre e la loro descrizione della condizione umana. Leggevo anche Heidegger che però mi creava solo problemi in quanto nazista e antisemita. Sapete com’è, io sono ebreo”. Infine un ultimo accenno all’origine del mito: “Da bambino andavo ogni sabato in un cinema di Toronto frequentato da una marea di ragazzi. Vedevamo film sui pirati e sui cowboy. Essendo nel quartiere italiano di fronte a noi c’era un’altra sala, Lo Studio, ma da lì non uscivano bambini ma solo adulti. E tutti gli adulti che uscivano piangevano. In quella sala proiettavano La Strada di Fellini. Quando pochi anni dopo lo vidi, capii che il cinema non era solo divertimento per bimbi, ma che i film erano arte”.