Lavoro & Precari

In questa storia dei diritti ai rider ci siamo dentro tutti

Stai cercando di difenderti dall’afa delibando le poche perle estive, tipo scoprire che Ernesto Galli della Loggia è arrivato a capire con precisione quello che alla sinistra soi-disant sfugge da almeno un decennio, ed ecco a tutta pagina sul sito de ilfattoquotidiano.it un titolo che spalanca un mondo. Quello sull’inchiesta di Ricca e Sarcinelli. “Pagheresti di più per dare diritti ai rider?”.

Premetto che mi sono fermato al titolo visto su un cellulare. Ma perché è davvero difficile in così poche parole trovare una sintesi perfetta del tempo. C’è tutto. La divisione genialmente creata tra consumatore e lavoratore. E la totale assenza del terzo incomodo. La vera parola con la P, quella che nessuno può più pronunciare. Il profitto. Vedete la scelta involontariamente come si riduce. Sta tutta in capo a noi, a voi.

Che siate, nel momento specifico, consumatori, e quindi interessati ad acquistare merci al minor prezzo possibile e chi se ne importa come questo basso prezzo sia reso possibile, quale bambino vietnamita quale ragazza pakistana, quale operaio cinese o turco, quale clandestino nei campi o quale ragazzo italiano laureato stia percependo stipendi inadeguati. O che siate, nel momento presente, quel rider o quel programmista Rai di cui parla Antonio Padellaro, e che guadagna oggi meno di quello che guadagnavo io, facendo esattamente il suo stesso mestiere nei profondissimi anni Ottanta dello scorso secolo, oppure le decine di migliaia di italiani straformati che vanno all’estero alla ricerca, evidentemente, di occasioni migliori, o semplicemente occasioni, e che suscitano lo sconcerto di Boeri “la fuga all’estero di chi ha tra i 25 e i 44 anni non sembra essersi arrestata neanche con la fine della crisi”. Ragazzo mio, evidentemente perché la crisi, per loro non è finita, o no?

Ma insomma niente, non si scappa, tocca a voi. Paghereste di più per i diritti dei rider? Che gli imprenditori che hanno reinventato i risciò possano “guadagnare” meno sui polpacci dei loro non dipendenti, che lo Stato possa imporre livelli di salario minimo degno di questo nome, che la contrattazione sindacale nazionale possa imporre erga omnes quei diritti senza farvi pagare un centesimo in più sulla Margherita o sugli involtini primavera, in quel titolo non c’è possibilità, non c’è spazio.

Ripeto, mi fermo al titolo perché è la rappresentazione del mondo in cui viviamo, quello in cui l’unica variabile indipendente è il profitto. Da massimizzare indipendentemente da ogni altra parte dell’equazione lavoro produzione vendita. Profitti immensi e vorticosi che alimentano poi quei flussi immensi e vorticosi di denaro che, invece di irrigare con pazienza economie e innovazione, cadono poi come bombe d’acqua alimentando, come ci ha raccontato Krugman nell’ultimo editoriale sul New York Times, le crisi continue di questi decenni nei paesi coinvolti, dalle tigri asiatiche, all’Argentina, all’Islanda, alla Spagna e alla Grecia e in queste ore alla Turchia. E alla fine sì. Si paga di più, ma di solito per togliere altri diritti.