Politica

Parlamento moribondo

In principio fu Matteo Renzi, che chiedeva la fiducia in Parlamento con le mani in tasca, a sottolineare la sua distanza dai Palazzi e dalla “casta”. Era il 2014 e la parola“disintermediazione”– ovvero comunicazione diretta con i cittadini, senza passare per i media tradizionali – cominciava a entrare nel dibattito italiano. Così, come la dizione “democrazia diretta”, più o meno in contrapposizione con “democrazia rappresentativa”. C’era il blog di Beppe Grillo e i voti online del Movimento. E poi sarebbe arrivata la piattaforma Rousseau. Quattro anni dopo, Davide Casaleggio fa un’intervista per dire che “tra qualche lustro il Parlamento forse non sarà più necessario”.

Rivoluzione? Eversione? In realtà, nulla di tutto questo: la fotografia di una tendenza che è già in atto. Secondo la quale, il Parlamento viene esautorato soprattutto dall’alto: nella scorsa legislatura, si è ridotto in gran parte alla funzione di ratificare decreti governativi (la proporzione tra le leggi approvate di iniziativa del governo e quelle di iniziativa del Parlamento è stata di 1 a 3). Più che fare le leggi, insomma, le Camere le hanno approvate. Distinzione niente affatto sottile.

Da quando è iniziata questa di legislatura, l’attività parlamentare va ancora più a rilento. Tutto si fa al governo. Dall’alto. Oppure si crea attraverso dichiarazioni e dirette Facebook. Legittimandosi con il consenso dal basso. Matteo Salvini nel suo staff al Viminale si è portato i suoi spin doctor di fiducia, Luca Morisi e Andrea Paganella. Quelli che con la loro azienda, la Sistema intranet, misero su una task force Facebook e un sistema ad hoc (“La Bestia”, nome omen). E che così l’hanno aiutato a portare la Lega dal 4% del 2013 allo sfondamento di oggi. “Il Parlamento è inutile? Beh, dopo l’audizione nelle Commissioni Affari costituzionali congiunte di Camera e Senato il dubbio mi viene”, commentava il medesimo ministro dell’Interno mercoledì a Palazzo Madama dove si trovava per raccontare le linee guida del suo dicastero. Tra un gesto provocatorio e una battuta, la strada è segnata.