Politica

Dal Pci al Pd, che fine ha fatto la sinistra italiana

La sostanziale estinzione della sinistra italiana, che ai tempi del Pci prendeva il voto di quasi un terzo degli elettori, è un fenomeno sociologico epocale che prima o poi dovrà diventare oggetto di analisi. Mi sembra che almeno quattro fattori siano stati importanti.

1. Il primo in ordine di importanza (ma forse ultimo in ordine temporale) è il tentativo di inseguire consenso elettorale spostandosi verso il centro. La conversione del Pci nel Pds e la successiva fusione di questo con la Margherita nel Pd è motivata da un banale quanto erroneo calcolo elettorale: se il partito di sinistra si sposta verso il centro mantiene i voti dell’elettorato di sinistra, che non può votare altro, e ne acquista dal centro. Calcolo errato perché molti elettori di sinistra hanno abbandonato il partito diventato di centro e autore di politiche di stampo conservatore; magari votando per partiti come la Lega o il M5s, entrambi molto lontani dalla cultura che fu del vecchio Pci.

2. Il secondo fattore, concomitante col precedente, è l’inaridimento culturale. L’analisi sociopolitica marxista, nella sua versione gramsciana, ha prodotto in Italia grandissimi contributi culturali, ma ha anche raggiunto i suoi limiti, lucidamente analizzati da Pier Paolo Pasolini, uno degli ultimi grandi intellettuali della sinistra. Purtroppo la sinistra non ha saputo perseguire le linee di indagine lui indicate e lo ha anzi rifiutato. Pasolini aveva capito che le classi sociali disagiate non sono automaticamente di sinistra. La constatazione che un’opera di propaganda e di illustrazione delle proposte politiche alla classe operaia è necessaria, è eretica rispetto all’idea marxista che la collocazione politica segua e sia causata da quella di classe e avrebbe richiesto una profonda rielaborazione teorica, che non c’è mai stata.

3. Il terzo fattore è stato il progressivo abbandono di un elettorato sedotto da proposte politiche diverse. In parte questo può essere stato causato dallo spostamento del Pd verso il centro; ma certamente una quota importante dell’elettorato tradizionalmente di sinistra si è spostato a molto più a destra del Pd, alla Lega o, più recentemente, al M5s. Ad esempio, una recente indagine tra gli iscritti alla Cgil ha rivelato che il 33% vota M5s e il 10% vota Lega. È chiarissimo che gli elettori che votano i partiti di “prima il Nord” o di “i sindacati si autoriformino o ci pensiamo noi” hanno completamente abbandonato ogni idea di sinistra e nessun partito di sinistra potrà mai rappresentarli o inseguirli. Se questi elettori si sentono traditi dalla sinistra “salottiera”, è anche perché mancano di riconoscere che nessuna sinistra potrebbe accogliere le loro istanze. Un cardine della cultura politica della sinistra è la valorizzazione del lavoro; ed è paradossale che di fronte alla grave distrazione del Pd su questa tematica, gli elettori si siano rivolti a partiti come la Lega e il M5s che attivamente denigrano e additano a scandalo intere categorie di dipendenti pubblici (si vedano ad esempio gli interventi di Beppe Grillo sui lavoratori della Sanità).

4. Il quarto fattore della scomparsa della sinistra è la litigiosità interna e le continue scissioni con partiti che appaiono e spariscono. La litigiosità è associata al massimalismo: la minima divergenza di opinione è motivo sufficiente per la scissione. La sinistra al di fuori del Pd è così andata incontro ad una progressiva frammentazione che ha disorientato l’elettorato e ne ha reso velleitarie le proposte politiche.

Rifondare la sinistra italiana è un problema culturale e di propaganda. Culturale perché le problematiche socioeconomiche attuali, la de-industrializzazione, il costo del lavoro, la disoccupazione, l’immigrazione richiedono interventi e progettualità innovativi. Di propaganda perché il rinnovamento va spiegato, e purtroppo non prevede soluzioni magiche e immediate, trasmissibili mediante slogan.