Diritti

Migranti, 17 sopravvissuti a naufragio fanno ricorso alla Cedu contro l’Italia: “Comportamenti disumani e degradanti”

L'episodio è quello del 6 novembre scorso: la nave dell'ong Sea Watch denunciò di essere stata ostacolata dai miliziani libici durante le operazioni di salvataggio e come prova addusse un filmato che testimoniava maltrattamenti e violenze. Global Legal Action Network ha deciso di rappresentare gli stranieri di fronte alla Corte di giustizia europea

Furono protagonisti del naufragio del 6 novembre 2017, quando le forze libiche vennero accusate di aver ostacolato il salvataggio di un gommone alla deriva. Oggi diciassette sopravvissuti hanno fatto ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo contro il governo italiano. Sotto accusa gli accordi firmati con la Libia che avrebbero legalizzato i respingimenti. Il ricorso è stato scritto dall’associazione italiana Asgi e dal Global Legal Action Network (con supporto di Arci e Yale Law School’s Lowenstein International Human Rights Clinic). L’accusa all’esecutivo di Roma è di avere una responsabilità legale nelle azioni delle navi italiane e libiche che, in questo caso, hanno portato al respingimento dei migranti in Libia, dove sono stati sottoposti a condizioni umane degradanti. Ad accusare le autorità italiane, nel caso del naufragio del 6 novembre, c’è anche un video raccolto dalla ong Sea Watch: nel filmato si vedono maltrattamenti a danni dei migranti e tra le varie scene anche un miliziano che fa cadere in mare uno degli uomini che cercava di salire a bordo.

Tra i ricorrenti ci sono anche i genitori di due bambini morti durante il naufragio. “Abbiamo rivelato numerose violazioni dei diritti umani. Per tutti c’è stata la violazione del diritto alla vita, per due di loro la perdita della vita, e del diritto a non subire comportamenti disumani e degradanti”, ha detto l’avvocata Asgi Loredana Leo durante la conferenza stampa. Sotto accusa c’è la responsabilità dell’Italia nelle operazioni di coordinamento con la guardia costiera libica e le ritiene una conseguenza dell’accordo Italia-Libia firmato nel febbraio 2017 tra il governo italiano e il governo libico di Accordo Nazionale.

L’episodio è quello del 6 novembre 2017, quando l’Ong Sea Watch, secondo quanto confermato dai filmati, è stata ostacolata dalla guardia costiera libica durante un’operazione di salvataggio di 130 migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. L’intervento è stato in parte coordinato a distanza dal centro di coordinamento marittimo della guardia costiera italiana. Almeno 20 migranti sono morti, tra cui due minori. Alla fine del soccorso la guardia costiera Libica, si legge nel ricorso, “ha riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente torturati con l’elettrochoc”. Dei 17 migranti che hanno presentato il ricorso, 15 sono stati portati in Italia e due in Libia nel carcere di Tagiura, dove sono stati torturati. Hanno poi accetato di partecipare ai programmi di rimpatrio volontario e sono stati riportati a Benin City, in Nigeria, loro paese di origine.