Musica

‘Non uso Spotify e in macchina ho un cd di Prince’. Due chiacchiere con Dado Parisini, il guru del pop

Dado Parisini è uno dei musicisti italiani che ha realizzato maggiori vendite discografiche in tutto il mondo. Produttore e arrangiatore per artisti come Irene Grandi, Nek e Raf, Parisini è oggi reduce dai lavori per l’ultimo disco di Laura Pausini, Fatti sentire.

Incontrarlo e chiacchierare con lui di musica è come entrare nel sancta sanctorum della produzione pop: “Con Laura ci eravamo separati artisticamente nel 2013 e lei da allora ha preso in mano tutta la gestione della produzione artistica. La storia con Laura è iniziata quando, insieme ad Alfredo Cerruti, mi portarono La solitudine: la sentii al pianoforte, lei era super timida ma aveva già una voce strepitosa. Volevano ci lavorassi io ma declinai l’invito. Vedendo poi il grande successo che fece quel brano, al secondo disco iniziai a lavorare con loro”.

Ne seguirono, come sappiamo, tanti anni di fruttuose collaborazioni, foriere anche di diversi Grammy latino americani e di quello – importantissimo – nordamericano del 2005 per l’album Escucha: “È stato molto piacevole ricevere una sua telefonata la scorsa estate. È stato bello rivedersi e lei ha ammesso che in tutto il mondo le canzoni più amate del suo repertorio sono quelle che ho fatto io, perciò mi ha chiesto di tornare a lavorare con lei”.

Tante sono le cose cambiate dai tempi d’oro degli anni Novanta a oggi, a partire dai budget di produzione: “I budget sono cambiati per tutti, anche per artisti grandi come Laura. Parliamo di budget ridicoli, inesistenti, insufficienti: si parla di poche decine di migliaia di euro per dischi che prima richiedevano centinaia di migliaia di euro.

Prima se volevo chiamare Nathan East, uno dei più forti bassisti in circolazione, non avevo problemi; andavamo a registrare a Londra con la London Symphony; i missaggi li facevamo a Los Angeles nei migliori studi del mondo. Ora tutto questo non si può più fare. È stata un’epoca meravigliosa, un altro mondo. Ora, non essendoci i soldi, si fa tutto molto di più col computer e le produzioni sono quasi casalinghe.

Internet ha distrutto il mercato e la fruizione della musica è completamente cambiata: ha vinto il mordi e fuggi e le canzoni durano in generale due minuti. Anche la gente, di conseguenza, non ha più lo stesso amore per la musica che aveva prima: chi è che va a spendere dei gran soldi per uno stereo? Ci si accontenta delle cuffiettine e dell’iPhone”.

Tutto questo non fa che generare un più che evidente appiattimento del pubblico, dei suoi gusti, delle sue capacità d’ascolto: “Alla gente non gliene frega niente se il basso in un brano va fuori tempo. La scorsa estate è stato primo in classifica L’esercito del selfie, che è sintomatico del più totale appiattimento del pubblico e del fatto che la qualità forse non è più neanche necessaria. Prima c’era una cura spasmodica della qualità del suono, dell’esecuzione, dell’emozione”.

Anche il Festival di Sanremo rientra tra quegli argomenti su cui Parisini non sembra nutrire alcun dubbio: “Questi grandi eventi televisivi creano un certo seguito, ma la musica che si fa a Sanremo è per la gran parte morta, inutile e ai giovani interessa davvero molto poco. Francesco Gabbani, che ha vinto lo scorso anno, è già morto e sarà molto difficile che abbia ancora in futuro una grande canzone di successo.

Sanremo è un’inutile rivangata del passato: chiamano Claudio Baglioni che a sua volta chiama Luca Barbarossa per una canzone come Passame er sale e questo è quanto. Sanremo dovrebbe essere un’occasione per fare musica contemporanea al periodo che si sta vivendo, mentre invece continuano a proporre robe del passato”.

Insomma, la tv non offre quasi nulla, internet e le piattaforme in streaming hanno ucciso il mercato discografico e tolto introiti importantissimi a tutta la musica che, non godendo di sovvenzioni, vive di solo mercato: e le radio? “Le radio private hanno fatto la loro parte e sui contenuti preferirei stendere un velo pietoso: è la fiera dell’ovvio, del banale, del ridicolo. Sono inascoltabili e una persona dotata di un minimo di senso critico non può ascoltarle”.

Colpa di tutti e di nessuno dunque, colpa – come ci ricorda Parisini – “di un sistema che prevede che la musica non venga pagata, che sia completamente gratis. Non siamo neanche nel discount musicale, siamo nella totale gratuità. Per fortuna ci sono interi gruppi di giovani tra Roma, Milano e Firenze che fanno cose totalmente nuove, usando i computer in modo davvero creativo. Peccato per Sanremo e per il mainstream tutta questa fauna musicale non esista affatto, mentre io faccio il tifo per queste piccole produzioni indipendenti che spesso hanno più di qualcosa di interessante da dire”.

E all’orizzonte? Torneranno le condizioni perché rinascano gruppi come i Queen, i Pink Floyd e i Genesis? Assisteremo a una nuova età dell’oro della popular music? “La vedo difficilissima se non impossibile, perché non ci sono più le condizioni sociali e culturali. La fantasia è possibile in una condizione di vuoto, di assenza, ma se sei sommerso da miliardi di canzoni non hai spazio per sviluppare niente di interessante, sei già saturo e internet ti dà tutto togliendoti tutto. Non uso Spotify: ho in macchina un cd di Prince – Emancipation -, nient’altro; ed è un altro mondo”.

Chi sarebbe bello veder tornare, per Parisini, nel panorama musicale italiano? “Lucio Dalla Pino Daniele, parliamo dunque non di ritorni, ma di resurrezioni. Irene Grandi è nata con me e dunque sono legatissimo a lei: per me è un’artista eccezionale ma non ha saputo crescere, gestirsi e si è persa dietro altre storie. Se prodotta bene tornerebbe a fare grandi cose, questo è certo”.