Ambiente & Veleni

La verità, vi prego, sui sacchetti biodegradabili. E anche sulle etichette

Il quadro è preoccupante: se le intercettazioni telefoniche sono servite a esporre comportamenti furbastri e corrotti della nostra classe politica, le ormai famose norme sui sacchetti biodegradabili a pagamento e le discussioni che ne sono seguite, testimoniano la leggerezza con cui si prendono le decisioni e si scrivono le leggi nel nostro Paese e anche la scarsa propensione ad ammettere e correggere gli errori quando emergono.

Diceva Otto von Bismarck che meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte. Eppure, a volte, come in questi giorni, capita di venire a saperlo e, anche se il caso non è forse degno dell’attenzione che gli si sta dedicando, pure, nel suo piccolo e nella sua semplicità, può servire da paradigma per sospettare quale sia il metodo adottato anche in casi più complessi e di maggiore importanza.

Mattina del 5 gennaio, Radio24, il ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, è ospite della trasmissione 24Mattino per rispondere ad alcune domande sugli argomenti del giorno e si finisce, naturalmente, per parlare di sacchetti.

Conduttore: “Molti ci chiedono… le etichette che vengono apposte. E’ vero che bloccano il processo di compostaggio, che non sono biodegradabili?”

Ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare: “No, no, no, non mi pare sia vero. E’ un approfondimento che faremo, ma non mi pare proprio che il grosso problema sia quello dell’etichetta. Cioè mi pare che su questa cosa si sia scatenato veramente un dibattito molto difficile da comprendere. Voglio dire: stiamo parlando di un provvedimento che ha una ratio ambientale molto, molto chiara. Allora: noi ci scandalizziamo sempre quando vediamo quelle immagini dei pesci che muoiono soffocati dalla plastica, nel mare, e poi facciamo tutta questa discussione per un provvedimento che va nella direzione di risolvere quel problema? Io vado orgoglioso che l’Italia abbia fatto quel provvedimento”.

E’ vero che l’articolo 9-bis  della legge di conversione n.123 del 3 agosto 2017 si proponeva di attuare “la normativa comunitaria volta alla riduzione dell’utilizzo delle borse di plastica in materiale leggero”, ma il ministro è davvero sicuro che ci siamo riusciti? E l’approfondimento che si ripromette di fare solo adesso, dopo una settimana di furiose, quasi isteriche, discussioni sulla legge entrata in vigore il primo gennaio, non avrebbe dovuto essere fatto prima di emanare la legge?

Dov’è la ratio ambientale in un provvedimento che ci obbliga a servirci di un sacchetto biodegradabile e compostabile nuovo per poi gettarlo nel sacco dei rifiuti indifferenziati, invece di utlizzarlo per raccogliere la frazione umida?

Quanti approfondimenti saranno necessari per capire che l’etichetta che siamo stati obbligati ad appiccicargli sopra non è biodegradabile e compostabile perché contiene carta, colla e inchiostro inadatti?

Eppure, le etichette biodegradabili e compostabili esistono, anche se, finora, una sola catena di supermercati ha deciso, autonomamente e con buon senso, di utilizzarle.

L’impressione è che i nostri legislatori condividano idee un po’ vaghe sulla raccolta differenziata che, evidentemente, preferiscono delegare ad altri soggetti. Ce l’ha fatto capire qualche giorno fa anche il senatore Pd, vicepresidente della Commissione Ambiente, Massimo Caleo, invitato anche lui da 24Mattino, ad illustrare la legge sui sacchetti e  a giustificarne gli aspetti più balordi: “Mia suocera, che fa la raccolta differenziata, paga il sacchetto biodegradabile per mettere l’umido. Ebbene questi sacchetti possono essere riutilizzati per fare anche la raccolta differenziata. Bisogna togliere l’etichetta, che non è biodegradabile”.

Meraviglioso! C’è solo da sperare che la suocera del senatore Caleo, al ritorno a casa, gli abbia spiegato che nessuno è mai riuscito a separare un’etichetta adesiva da un sacchetto così sottile senza lacerare il tutto! Sempre, naturalmente, che, offesa per essere stata tirata in ballo, non abbia reagito in modo più brusco.

Per sicurezza ci siamo comunque rivolti all’Amsa, che effettua la raccolta dei rifiuti a Milano, per fare anche noi un approfondimento: “Buongiorno, per cortesia vorrei sapere se posso usare per la frazione umida un sacchetto biodegradabile e compostabile con appiccicata sopra un’etichetta di carta con colla e inchiostro non biodegradabili?”

“Beh, no. Dovrebbe prima togliere l’etichetta”.

“Ma, se la tolgo, il sacchetto si rompe tutto e non mi serve più”

“Eh…”

“Allora devo buttare il sacchetto nell’indifferenziato?”

“Sì, sarebbe meglio”

“Quindi, se lo riutilizzo per l’umido, mi date la multa?

“No, beh, no, per una cosa così piccola la multa non la diamo, però se lei vuol fare le cose per bene è meglio che non usi quel sacchetto per l’umido”

Ecco: non si deve fare ma, se lo fai, non c’è sanzione.

Se invece butti il sacchetto etichettato nell’indifferenziato e ne usi uno nuovo per l’umido, raddoppi l’uso di sacchetti, ma fai le cose per bene, con buona pace della ‘normativa comunitaria volta alla riduzione dell’utilizzo delle borse di plastica in materiale leggero’.

La soluzione ci sarebbe: per esempio, tanto per dirne una, si potrebbe usare Compost Label® , “la nuova etichetta adesiva ideata dall’azienda italiana Polycart e realizzata in Mater-Bi®, completamente compostabile e biodegradabile secondo la norma EN13432”.

Qui però sorge un altro problema perché entriamo in un campo minato: il Mater-Bi® è prodotto da Novamont e Novamont sta già guadagnando tanto con i sacchetti. Se guadagnasse anche con le etichette potrebbe sembrare esagerato. Magari per le etichette sarà meglio aspettare dopo le elezioni.