Tecnologia

Insegnare la programmazione informatica ai bambini? Va bene, ma non chiamatelo codice

Poco tempo fa la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha dichiarato che dal 2018 il coding (cioè la programmazione informatica) verrà introdotto nelle scuole primarie. Sull’importanza di educare i bambini fin da piccoli al “digitale” c’è vasta attenzione sui media e nella pubblica opinione, ma anche molta confusione. Da un lato ci si fa affascinare dal termine inglese (ne ho scritto recentemente) come se promettesse chissà quale mirabolante competenza ai nostri figli, dall’altro non si distingue tra gli aspetti scientifici, duraturi e formativi, e quelli tecnologici-strumentali, interessanti ma transitori. Ne parlo brevemente nel seguito e, al termine del periodo dei commenti qui, troverete su questo blog interdisciplinare una versione più estesa dell’articolo con la possibilità di continuare la discussione per i lettori eventualmente interessati.

Proprio per la confusione un po’ dilagante in materia, avevamo già molto tempo iniziato a ragionare come consiglio interuniversitario nazionale per l’Informatica (Cini, il consorzio delle oltre 40 università che fanno ricerca e didattica in informatica) su come inserire la formazione informatica nella scuola italiana. Si tratta di un aspetto su cui alcuni paesi, per esempio Uk, Usa, Francia, Germania si sono mossi già da tempo. Nel nostro paese, il Cini sta portando avanti (questo è il quarto anno) il progetto Programma il futuro, che finora ha complessivamente avvicinato quasi 3 milioni di studenti ad una formazione informatica “solida” (che chiamiamo “pensiero computazionale” per sottolinearne gli aspetti scientifici).

In un recente convegno presso la Camera dei deputati, organizzato con l’intergruppo Innovazione, un gruppo bipartisan di deputati e senatori che hanno a cuore lo sviluppo del Paese al di là degli steccati ideologici, abbiamo reso pubblica la proposta della nostra comunità (più di 1500 tra professori e ricercatori in informatica e ingegneria informatica) alla presenza del Miur. Si tratta di un documento articolato e frutto di una lunga fase di consultazione, che ha coinvolto non soltanto la nostra comunità, ma anche pedagogisti e docenti da tempo impegnati nell’insegnamento dell’informatica nella scuola.

Il documento è stato discusso durante il convegno con pedagogisti e filosofi, nonché con rappresentanti del mondo imprenditoriale, dal momento che la formazione informatica ha un impatto sia culturale che professionale. Invito a rivedere il video dell’evento per gustare in pieno gli interventi, tutti di eccellente livello.

Prima della discussione della proposta ho presentato un recente rapporto sullo stato dell’insegnamento dell’informatica nelle scuole europee, preparato dalle due principali associazioni di informatici europei: Informatics Europe (che raggruppa dipartimenti universitari e centri di ricerca aziendali) e Acm Europe council (il consiglio direttivo della sezione europea dell’Acm, la maggiore associazione mondiale di professionisti e studiosi).

La sua prima e più importante raccomandazione è che tutti gli studenti devono avere accesso curriculare nella scuola alla formazione in Informatica (iniziando preferibilmente alla primaria). Se ne riparlerà il 15 marzo 2018 a Bruxelles con la Commissione europea.

Alcune istantanee della prima tavola rotonda sulla proposta Cini: si è evidenziato come l’informatica conduca a costruire strumenti che cambiano la percezione della realtà (Simone Martini); richiamato l’importanza di insegnare informatica senza che poi l’uso degli strumenti conduca a perdere la dimensione del “noi” e della “realtà” (Italo Fiorin); ricordato che apprendere strumenti che rendono facili le cose senza faticare per apprendere il come e il perché essi funzionino sia solo un’illusione di formazione (Giovanni Salmeri).

Nella seconda, si è da un lato ricordata e apprezzata l’azione legislativa di supporto allo sviluppo digitale delle imprese italiane, e dall’altro convenuto di avviare un tavolo di confronto tra università e imprese affinché, nel rispetto del diverso orizzonte temporale con cui esse operano, si definiscano soluzioni formative che preparino ad essere attivi professionalmente per tutta la vita lavorativa e, al tempo stesso, aiutino rapidamente le aziende in questa epocale trasformazione sociale.

Ricordo sempre che l’automazione produttiva derivante dall’informatica (la cosiddetta “impresa digitale”) è radicalmente diversa dalla tradizionale automazione industriale. Quest’ultima è stata essenzialmente la sostituzione dell’azione fisica delle persone con la forza delle macchine, sotto la guida delle facoltà cognitive delle persone. L’automazione digitale va oltre, è la sostituzione dell’intelligenza umana con una macchina, che però non sarà mai intelligente come un essere umano, anche se elabora dati molto più velocemente.

È un problema culturale: se non si capisce quanto profondamente questo è vero, nessuna innovazione digitale produrrà davvero gli effetti sperati.