Cronaca

Vittorio Emanuele III non ha meriti con gli italiani, i Savoia che vogliono il Pantheon sono fuori dalla realtà

L’Italia dimentica il suo passato. Lo fanno i suoi cittadini con un oblio assolutorio sul passato fascista, ma lo fanno anche le più alte istituzioni che hanno concesso il volo di Stato per trasportare dall’Egitto la salma del re Vittorio Emanuele III in Italia.

Vittorio Emanuele III non può vantare alcun merito nei confronti degli italiani, a cominciare dal ruolo decisivo assunto sin dal 1914 per fare entrare l’Italia nella Prima guerra mondiale, scavalcando la maggioranza parlamentare pacifista.

Nel difficile periodo postbellico che ne segue il re rimane inerte di fronte al dilagare della violenza squadrista di marca fascista che si manifesta con le bastonature, le uccisioni, gli assalti alle carceri per liberare i fascisti arrestati, con l’esautoramento delle giunte socialiste democraticamente elette, con il sabotaggio e la distruzione di giornali sgraditi, con la conquista militare delle città.

Nell’ottobre 1922, di fronte alla minaccia di una marcia su Roma, il presidente del Consiglio Luigi Facta sottopone al re la dichiarazione di stato d’assedio per consentire all’esercito di bloccare le camicie nere. Il re non firma il provvedimento “per non spargere sangue,” non fosse che la tollerata violenza squadrista ha già causato migliaia di morti e altri ne provoca con la presa del potere di Benito Mussolini la cui chiamata al governo suona da legalizzazione a un’incontrollata stagione di brutalità.

A giugno del 1924, per ordine di Mussolini, è rapito il deputato socialista Giacomo Matteotti che in un drammatico discorso alla Camera aveva denunciato le violenze fasciste compiute durante la campagna elettorale. Il ritrovamento del cadavere di Matteotti, ad agosto, crea sconcerto anche fra i simpatizzanti del fascismo. Le opposizioni lasciano il Parlamento e premono sul sovrano affinché allontani Mussolini. Di fronte al capo del fascismo, indebolito e delegittimato, il sostegno del monarca è decisivo.

Vittorio Emanuele III avalla tutte le leggi liberticide che vengono approvate durante il regime fascista. A gennaio del 1925 un forte appello al sovrano in difesa della libertà di stampa, promosso dalle tre maggiori testate nazionali e da altri 25 quotidiani, cade nel vuoto.

Il re resta silente anche di fronte ai crimini di guerra compiuti durante la guerra di Etiopia (1935-1936), con l’impiego di gas chimici banditi dalla comunità internazionale. Le leggi separazioniste, che in Africa mirano a separare italiani ed etiopi, sono il preludio alla legislazione antiebraica applicata sul territorio nazionale ed entrata in vigore nel 1938 con provvedimenti fortemente discriminatori che impediscono agli ebrei l’esercizio di una serie di professioni, proibiscono i matrimoni fra ebrei e cattolici marginalizzando gli ebrei dal resto della comunità nazionale.

Nessun sussulto da parte del re nemmeno con la decisione di partecipare alla Seconda guerra mondiale (giugno 1940) nonostante il sovrano sia al corrente della impreparazione militare dell’Italia. Soltanto quando il conflitto è ormai perso, il re all’inizio del 1943 valuta l’opportunità di realizzare un regime autoritario senza Mussolini. Il capo del fascismo è giubilato, dalla congiunta manovra monarchica e dei fascisti dissidenti, durante il Gran Consiglio del 25 luglio 1943. Ormai due terzi della Sicilia sono controllati dagli anglostatunitensi, le città sono devastate dai bombardamenti e la fame è l’assillo quotidiano di quasi tutta la popolazione.

La giubilazione di Mussolini sembra riportare in auge il sovrano, acclamato nelle manifestazioni del giorno dopo, non fosse che severe disposizioni di ordine pubblico volute dalla corona vietano le manifestazioni antifasciste. L’esercito ha l’ordine di sparare sui manifestanti, un provvedimento che provoca alla fine di luglio 83 morti e 308 feriti.

A Vittorio Emanuele III si deve la dissoluzione dello Stato italiano l’8 settembre 1943, giorno in cui viene diffusa la notizia dell’armistizio con gli anglostatunitensi. Una situazione delicatissima con le armate naziste presenti sulla Penisola. Lo Stato maggiore aveva previsto un piano di esecuzione per l’esercito in conseguenza di questa situazione, ma il re l’8 settembre lascia l’esercito senza ordini fuggendo irresponsabilmente a Brindisi, preoccupato solo della sua salvezza personale. E’ il baratro. L’assenza di disposizioni provoca lo sfaldamento dell’esercito italiano con oltre 650.000 uomini deportati in Germania.

Quante vite umane sono state sacrificate dalle scelte di questo sovrano? E’ un uomo che ha fatto la patria o che ha disfatto la patria? Se i discendenti dei Savoia vogliono che Vittorio Emanuele III sia tumulato al Pantheon di Roma antepongono la corona alle ragioni della storia ponendosi fuori dalla realtà.

Ricordo che nel Pantheon di Parigi sono sepolti uomini della Rivoluzione francese e della Resistenza antifascista.