Lavoro & Precari

Jobs act per il lavoro autonomo, un’altra occasione persa per tutelare i freelance

di Stefania Mangione*

Dal 14 giugno di quest’anno è entrata in vigore la legge 81/2017, il cosiddetto jobs act del lavoro autonomo regolamentato agli articoli da uno e 17 del primo capo della normativa, mentre il secondo riguarda il lavoro cosiddetto agile, ovvero una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa subordinata.

La legge prevede una serie di limitati interventi a favore dei lavoratori autonomi (con esclusione degli imprenditori, inclusi i piccoli); si tratta per lo più di conferme di tutele già esistenti e disciplinate dall’ordinamento – ad esempio, nel lavoro a progetto – o acquisite grazie all’interpretazione della giurisprudenza.

E infatti, la legge prevede (art. 2) che si applichi ai lavoratori autonomi, in quanto compatibile, la disciplina prevista dal D. Lgs. 231/2002, attuativa della direttiva Ce 35/2000, in materia di tutele sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali. Già la direttiva comunitaria citata prevedeva che le disposizioni si applicassero alle “imprese di ogni tipo, nonché i lavoratori autonomi iscritti o meno agli albi professionali” e così pure l’articolo 2, lettera c) della norma interna di recepimento e l’orientamento dei giudici.

Vengono poi qualificati come abusive e inefficaci alcune clausole contrattuali (la facoltà del committente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto; di recedere senza congruo preavviso da un contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa; di prevedere termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento) e alcune condotte del committente (il rifiuto di stipulare per iscritto il contratto). In questi casi, il lavoratore ha diritto anche al risarcimento dei danni.

Viene prevista l’applicabilità della disciplina in materia di abuso di dipendenza economica, prevista dalla L. 192/1998 (cosiddetta legge sulla subfornitura), secondo la quale ogni patto attraverso il quale si verifica un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi deve ritenersi nullo.

Rispetto a tali interventi, va segnalato che:

– la L. 192/1998 era già considerata disciplina trans-tipica, ovvero applicabile a ogni ipotesi di abuso di posizione dominante nei rapporti commerciali e contrattuali;

– il codice civile contiene già una disposizione (art. 1453 c.c.) che tutela dal recesso ingiustificato, e anzi lo ammette solo per giusta causa;

– il rispetto di un termine di pagamento non superiore a 60 giorni era già contenuto nel D. Lgs. 231/2002;

– per quanto riguarda il rifiuto di stipulare per iscritto il contratto, si è persa l’occasione di regolamentare cosa deve contenere il contratto stipulato per iscritto (ad esempio, i requisiti della prestazione, i termini di consegna, il corrispettivo, ecc).

E ancora. La L. 81/2017 stabilisce (art. 4) che al lavoratore spettino i diritti di utilizzazione economica relativi agli apporti originali e alle invenzioni realizzate nell’esecuzione del contratto. Anche qui, il codice della proprietà industriale del 2005 e il codice sul diritto di autore del 1941 prevedevano già che il brevetto e il diritto d’autore spettassero all’autore dell’invenzione e all’autore dell’opera.

Vi sono poi un’altra serie di ulteriori previsioni assistenziali, previdenziali e fiscali: viene prevista una tutela specifica in caso di gravidanza, malattia e infortunio, in assonanza con quella che esisteva per i lavoratori a progetto (art. 66 d.lgs. 276/2003), ma abrogata dallo stesso legislatore con una sorta di “moratoria” per il lavoratore dal versamento contributivo in caso di malattia che impedisca lo svolgimento della prestazione lavorativa per più di 60 giorni e la deducibilità (entro il limite annuo di diecimila euro) delle spese per la partecipazione a convegni, congressi o corsi di aggiornamento (art. 9).

Infine, una previsione processualistica: l’estensione dell’art. 634, comma 2° c.p.c. secondo cui possono costituire prova scritta, ai fini dell’emissione di un decreto ingiuntivo, anche la scritture contabili dei lavoratori autonomi (già ammessa anche prima della l. 81/2017). Nessun intervento, invece, dal punto di vista della competenza che rimane del giudice civile ordinario e non del giudice del lavoro, con effetti rilevanti anche in termini di costi e di tempi del processo.

Si è persa ancora una volta l’occasione di dar vita ad un vero statuto del lavoro autonomo, definizione immeritata dalla legge 81/2017, poiché la legge si limita, con mera azione ricognitiva, a rammentare l’applicabilità di norme già presenti nell’ordinamento al lavoro autonomo non imprenditoriale o a riproporre quelle abrogate in tema di lavoro a progetto, peraltro con una rilevante eccezione: la disposizione sul corrispettivo e sui criteri per una sua equa determinazione, presente nella vecchia disciplina (art. 63, d.lgs. n. 276/03, come modificato dalla l. n. 92/2012) e assente in quella odierna. Si smentisce, così, l’idea di una regolamentazione del lavoro autonomo nel solco degli artt. 35 e 36 della Costituzione, contenuta invece, ad esempio, nella Carta dei diritti della Cgil.

* Sono avvocata giuslavorista a Bologna, per i lavoratori. Ho scritto, assieme a Alberto Piccinini, un libro in materia di comportamento antisindacale e faccio della parte della redazione regionale Emilia – Romagna della rivista Rhl News