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Poste Italiane, le nuove regole Ue mettono in crisi la vendita di prodotti finanziari allo sportello

Da gennaio 2018 ci vorranno specifiche competenze, con tanto di iscrizione ad un nuovo albo, per vendere ai clienti azioni, obbligazioni, derivati e quote di fondi d’investimento. Per Poste è un vero e proprio scoglio dal momento che solo circa 800 dipendenti (11%) dei 7mila dedicati alla consulenza finanziaria (su un totale di oltre 141mila lavoratori) sono laureati in materie economico-finanziarie. E intanto il piano industriale si fa attendere

Che cosa farà Poste italiane? Se lo chiede la Commissione trasporti e telecomunicazioni della Camera dei deputati che da tempo ha proposto un incontro sul tema all’amministratore delegato Matteo Del Fante. Se lo domanda anche il mercato che attende un nuovo piano industriale da fine aprile. E cioè da quando il manager ha preso le redini del gruppo su indicazione del Tesoro che intanto, per il lavoro svolto nella controllata pubblica Terna, ha concesso a Del Fante una buonuscita da 3,8 milioni lordi. Cinque mesi dalla nomina del manager non sono comunque passati invano visto che il nuovo ad di Poste ha rinnovato in primavera le prime linee dirigenziali del gruppo e ha studiato il da farsi senza tuttavia riuscire a cavare ancora un ragno dal buco: come spiegato al Corriere lo scorso 3 ottobre, il nuovo piano di Poste vedrà infatti la luce solo “nei primi mesi del 2018”.

Il gruppo dei recapiti, controllato dal Tesoro, è del resto un’azienda complessa da gestire: ci sono le lettere con il rebus delle consegne a giorni alterni, i pacchi con le sfide dell’e-commerce, il risparmio con le nuove regole europee sulla formazione dei venditori (Mifid2) e persino il trasporto aereo della Mistral air con le perdite legate all’operazione Alitalia. Ma una società quotata in Borsa non può attendere in eterno. Soprattutto dopo aver pagato nell’era di Francesco Caio fior di consulenze alla BCG consulting per essere indirizzata sul suo futuro. Come se non bastasse all’orizzonte iniziano a profilarsi almeno un paio di problemi nel settore della vendita dei prodotti assicurativi e finanziari, cioè il comparto più importante dell’azienda con oltre 13 miliardi di ricavi (su 18 totali per tutti i business dell’azienda) solo nel primo semestre 2017 .

La prima riguarda Banco Posta Fondi sgr. Secondo quanto riferisce un comunicato ufficiale di Poste datato 5 dicembre 2016, sulla base di un’intesa siglata a novembre dello scorso anno, la società del risparmio gestito doveva confluire in Anima sgr di cui Poste è diventata azionista (10%) nel 2015 per effetto di una partita collaterale al salvataggio di Mps. Nei piani di Caio, il passaggio su Banco Posta Fondi sgr si doveva concludere “entro la prima metà del 2017” portando il gruppo dei recapiti a salire dal 10 al 24,9% nel capitale di Anima. Ma il termine è scaduto invano e senza grandi spiegazioni. Nell’ultima semestrale, Poste dice solo che “è in contatto con Anima Holding per meglio definire gli accordi di cooperazione in essere fra le parti, in coerenza con le linee guida del nuovo Piano Strategico (…) che arriverà nel primo trimestre del 2018”. E pensare che i documenti ufficiali di novembre 2016 parlavano di un’intesa da chiudere “nel più breve tempo possibile” su cui neanche Consob ha chiesto chiarimenti.

Ma i problemi di Poste sulla gestione del risparmio non si esauriscono qui. Anzi. Il punto dolente si chiama Mifid II, la nuova normativa europea che sancisce i criteri di professionalità dei venditori di prodotti finanziari fuori e dentro gli uffici. Le regole in arrivo stabiliscono che da gennaio 2018 ci vorranno specifiche competenze, con tanto di iscrizione ad un nuovo albo, per vendere ai clienti azioni, obbligazioni, derivati e quote di fondi d’investimento. Per Poste, che pure da tempo sta formando i suoi dipendenti, l’operazione è tutt’altro che facile dal momento che solo circa 800 dipendenti (11%) dei 7mila dedicati alla consulenza finanziaria (su un totale di oltre 141mila lavoratori) sono laureati in materie economico-finanziarie. Non a caso, come riferisce il quotidiano finanziario Mf del 30 agosto scorso, Del Fante ha bloccato la vendita di prodotti finanziari fuori dagli uffici postali che era uno dei fulcri dei piani di sviluppo di Caio. E lo ha fatto in nome di una non meglio definita “nuova strategia del gruppo che mira, anche alla luce della direttiva di Mifid II, a offrire prodotti a rischio contenuto e a mantenere un controllo sull’attività distributiva”.

Il tema è insomma assai delicato e preoccupa anche le associazioni dei consumatori: “Su Poste bisogna essere cauti. La scarsa competenza dei clienti, fra cui ci sono anche tante persone anziane, ne fanno un tema assai delicato nella consulenza finanziaria”, spiega Alessandro Pedone dell’Aduc, pronta a dar battaglia in sede europea contro il regolamento Mifid II stilato da Consob che, a suo parere, non valorizza la figura dei consulenti finanziari indipendenti. Insomma, l’impressione è che Poste sia in un momento decisivo. E forse si avrà qualche indizio in più sul futuro il prossimo 9 novembre quando la società presenterà il bilancio del terzo trimestre 2017. Intanto in Piazza Affari il titolo langue attorno ai 6,20 euro, circa l’8% in meno rispetto al prezzo del collocamento in Borsa (6,75 euro) di due anni fa. Anche a dispetto del fatto che, fra il 2015 e il 2016, l’azienda abbia distribuito dividendi per poco meno di un miliardo e si prepari, anche quest’anno, a remunerare i soci. Secondo alcuni analisti, la ragione della debolezza del titolo è nei timori legati al collocamento di una nuova tranche di azioni che il Tesoro vorrebbe piazzare in Borsa per incassare denaro (circa 2,5 miliardi) da destinare alla riduzione del debito (oltre 2200 miliardi) del Paese. Indipendentemente dal piano industriale.