Cultura

Quattro mezze cartelle / 9: La condizione d’esistenza

La nona proposta (l’ottava ha registrato oltre 500 condivisioni su Facebook) arriva da un ragazzo di 16 anni che, da sempre, ha vissuto respirando le parole scritte, sue e degli altri.
Per gli invii e le indicazioni da seguire rimando a questo post. Al momento, ci sono una dozzina di proposte editoriali che attendono di essere postati.

Buon settembre a tutti.

La condizione d’esistenza

Incipit

Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di vedere tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma l’altra metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani”. (Italo Calvino)

Marilyn scese subito dall’altalena. Non le erano mai piaciute le cose instabili.
Così s’accasciò per terra, fissando la propria ombra e spettri di ricordi nella propria mente.
«Mi hai insegnato a non piangere» iniziò a dire.
«Ehi! Cos’è quella faccia?»
«Niente» gli rispose.
«Dai, fammi un sorriso!»
«Mi hai insegnato a camminare.»
«Perché sei triste?» le chiese.
«Guarda in che schifo siamo capitati.»
«È la volta buona per cambiarlo.»
«Mi hai insegnato a vedere con occhi diversi la realtà.»
«Su, vieni!»
«Dove?» gli chiese.
«In un posto che si chiama “mondo”».
In fondo, tutto le aveva insegnato. Anche a capire che un attimo sarebbe durato una vita intera.

Righe scelte dall’autore

«Penso che tu sia unica» disse, mentre le braccia la stringevano forte e i lucciconi gli offuscavano lo sguardo portato sul suo ventre.

A quel punto, il vento smise di esistere e anche il silenzio iniziò a fiatare.
Lei cessò di respirare per un attimo. Era rimasta bloccata da quella presa, da quelle parole, da quella persona che stava riuscendo a starle accanto. Il suo sguardo, invece, era fisso sul sole calante. Aveva intuito la caducità di quell’attimo, dell’intera situazione, di una parte di lei.
Poi espirò tutto in una sola boccata: il vuoto, la mancanza, il peso della realtà, la razionalità.
Aveva appreso a sue spese che ciascuno di essi fosse semplicemente inutile all’interno di quella situazione, volto solo a frammentare ulteriormente la propria mente e i residui di una logora coscienza.
I suoi occhi iniziarono poi a versare lacrime. Era la prova che stesse realmente accadendo qualcosa in lei.
Aveva appena avuto la certezza di essere speciale per una persona che non fosse la madre. E questo la stava inevitabilmente condizionando. Si chiedeva che senso avrebbe avuto la propria vita senza di lui, cosa sarebbe cambiato per lei, perché fosse lì. E tutto rimase così: immobile, fermo, immutato, come se quella realtà avesse scelto loro come protagonisti.
Lo spazio era privo di ogni insignificanza. Ogni cosa aveva perso senso.
Il tempo, invece, era vano. Non contava più nulla. Solo il suo cuore continuava a battere in quella circostanza, scandendo così lo scorrere di una reciproca mancanza e l’assenza di una perpetua distanza.

Quarta di copertina

«Il bruco, in fondo, era l’unico stadio che le avrebbe garantito l’esistenza. E lei non poteva che esserlo.
Ci sono così tanti vermi in questa vita, infatti, che lei ne sarebbe soltanto uno in più.
Ma si sarebbe differenziata dagli altri per ciò che era e sarebbe stata paragonata a questi per natura.
Così apprese che siamo molteplici in vita, unici in genere e nulla in confronto.»

Marilyn: una ragazza qualunque, affetta da una forma di schizofrenia infantile, una malattia che la porta inevitabilmente alla supposizione di nuove realtà, a volte del tutto differenti dalla quotidianità umana. Crede che la madre sia morta e il padre abbia deciso di affrontare un viaggio per abbandonarla. La sua mente si ritrova presto scissa all’interno di molteplici contesti – tra cui il bosco, il mare e la bettola dove è stata lasciata – nei quali la sua parte razionale, segno della sua umanità, entra ineluttabilmente in contrasto con l’irrazionalità, indice di singolarità, che si manifesta attraverso la presenza del fratello, Joseph. Sarà proprio questi a farla maturare e a portarla a subire un’incredibile evoluzione nel corso dell’intera vicenda. Innovativa, innocente,commovente, che dà spazio alle illusioni e alla materializzazione dei pensieri della protagonista. Una storia che potrebbe risultare nient’altro che la proiezione di un’allucinazione di una comune ragazza agli occhi del lettore. Sì, ma fino a che punto?

L’autore

Mario Gennatiempo è nato a Cinquefrondi (RC) il 29 gennaio 2001, ha sedici anni, vive a Eboli (SA) e frequenta il liceo classico “E. Perito”. Ha iniziato a scrivere all’età di cinque anni e fin da subito si è cimentato nel genere poetico. All’età di sei anni scriveva così i primi componimenti in rima baciata, mentre al settimo anno aveva già sperimentato i versi sciolti. Ha cominciato poi a partecipare ad alcuni concorsi letterali, classificandosi al secondo posto ne “I giovani e l’arte” – concorso internazionale di poesia – nel 2014. Dal 2015 ha deciso di dare spazio alla narrativa, pubblicando “Vita in uno specchio” – edito  da Centro Culturale Studi Storici “Il Saggio” – all’età di soli quattordici anni.

Questo, dunque, è il suo secondo romanzo breve, dal titolo “La condizione d’esistenza”.

mariogennatiempo01@outlook.it