Cultura

Un supermercato in un convento ad Asti? Va bene il riuso ma la cautela è d’obbligo

Una fortunata serie tv tedesca, in programmazione continua dal 2003, narra di un convento situato in un’amena cittadina bavarese, preda di speculatori arroganti e amministratori cialtroni, ma con suore impavide e resilienti anche al cospetto di badesse e vescovi ambigui. Questi ultimi sono pronti a cedere alle lusinghe di aggressivi investitori, date le finanze dissestate del convento, bisognoso di interventi di manutenzione sia per la parte edile che per il maestoso parco.

Ora non sappiamo se la fiction tedesca si sia ispirata a qualche vicenda reale, certo è che in questi giorni due casi eclatanti molto simili sono scoppiati in Piemonte: uno ad Asti l’altro a Valperga, in provincia di Torino. La struttura religiosa di Asti si rifà al nome suggestivo di Oasi dell’Immacolata ed è costituita non solo da una villa storica, ma soprattutto da un imponente parco appetito da un colosso della distribuzione per insediarvici un supermercato di circa 2.400 metri quadri e un parcheggio di quattromila metri quadri.

Poi il caso a Valperga Masino, con il Santuario di Belmonte, uno dei complessi monastici più visitati del Piemonte, il terzo luogo del cuore del Fai, la cui sorte e la destinazione sono ancora incerte dopo l’abbandono in questi giorni dei frati francescani. Il sito è, insieme agli altri Sacri Monti, patrimonio dell’umanità Unesco. È stato abbandonato dai religiosi per via del gravissimo stato di fatiscenza e ne è stata ipotizzata da alcuni la vendita, nel caso in cui non vengano trovati i fondi per gli urgenti lavori di consolidamento e restauro.

Molti sono stati in questi anni i casi di monasteri ceduti e trasformati (quasi sempre in alberghi) e, pur non dichiarandomi a priori sfavorevole, occorre auspicare il mantenimento dei caratteri architettonici originari salienti. Occorre infatti che nella rifunzionalizzazione si persegua una certa sobrietà negli interni, nelle finiture e nei materiali. Ad esempio, diversi anni fa, recandomi in un hotel ex convento a Orta San Giulio, avevo constatato con piacere, ambienti monacali, materiali congrui e un diffuso senso di serenità, nitore ed armonia. Sono tornata anni dopo trovando stravolto l’arredamento, diventato, dal mio punto di vista, pacchiano e avulso dal contesto e dall’impianto architettonico originale. Un cambiamento giustificato dalla direzione come risposta all’attesa di “lusso”, dico io becera, di clienti di un quattro stelle superiore. Pare viceversa che adesso stiano ritornando, con l’avvento del minimal, almeno nelle camere ricavate dalle ex celle, ad un’interpretazione più pacata del confort alberghiero.

Questo per ribadire che il problema non è solo il cambio della destinazione d’uso, ma soprattutto come viene attuata; perseguibile e accettabile da un ex monastero in un sobrio resort o in un centro studi, come avverrà a Ferrara per un ex monastero benedettino, ma assolutamente inadeguata la destinazione a centro commerciale, come nel caso di Asti, e impensabile, data la conformazione e la connotazione, del Sacro Monte di Belmonte, in un uso diverso da quello del turismo religioso.

Non solo, ma ipotizzare, nella struttura religiosa di Asti, un centro commerciale per le norme di attuazione comporterebbe un “elevato carico urbanistico” (fabbisogno di infrastutture per la destinazione d’uso), oltre che un notevole tasso d’inquinamento per i flussi continui di traffico veicolare rispetto ad altre attività. Poiché il rispetto delle norme deve essere, ovviamente, sempre garantito.

Una gestione economica viceversa intelligente, creativa anche in mancanza delle impavide suore tedesche del “Ciclone in Convento”, può portare lo stesso autonomia e redditività, almeno per le opere di manutenzione ordinaria, e il sostentamento, mantenendo inalterata la destinazione religiosa ed il carattere originario dell’impianto architettonico, pur in presenza di rifunzionalizzazioni, concertate con soprintendenze, comunque sostenibili per la tutela dei complessi in tutta la loro bellezza.