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Intervento italiano in Libia, rischi e opportunità

di Eugenio D’Auria*

E’ un peccato che, una discussione parlamentare su rilevanti tematiche di politica estera non abbia registrato analisi approfondite favorendo invece, ancora una volta, posizioni ammiccanti verso i potenziali elettori più che centrate sull’essenza del problema.

Le misure prospettate in Parlamento possono apparire ambigue e di portata limitata, ma in alcune occasioni anche le opposizioni dovrebbero farsi carico di responsabilità originate da eventi e situazioni particolari. Il caso libico rientra in una tale fattispecie, legato come è ai flussi migratori, alle risorse energetiche e a rapporti bilaterali di particolare complessità ed intensità.

La missione delle nostre Forze armate in Libia sarà di una delicatezza estrema: il frammentato quadro di potere libico e la presenza di molteplici attori che direttamente o indirettamente mirano a favorire i propri interessi strategici, da soli evidenziano la complessità del compito cui sarà chiamata soprattutto la nostra Marina militare. Ma è il Paese nel suo complesso a dover mostrare di poter svolgere un ruolo che è innegabilmente di sostegno al governo di Tripoli: per il controllo dei flussi migratori ed il contrasto a quella criminalità organizzata che dal traffico degli esseri umani ricava ingenti risorse finanziarie (che nessuno può garantire non vengano in parte utilizzate per sostegno a gruppi terroristici).

Non si tratta peraltro di una scelta di campo pro o contro il governo Serraj, da tempo interlocutore istituzionale secondo i parametri delle Nazioni unite, quanto di una precisa volontà di contribuire alla stabilizzazione di un’area che, al centro del Mediterraneo, costituisce da tempo un vero e proprio buco nero, al di fuori di ogni controllo. La recente intesa di Parigi tra Serraj e il generale Khalifa Haftar, vista da molti come “uno schiaffo all’Italia”, rappresenta un’ottima carta per la statura internazionale del presidente francese Macron, ma dovrà essere riempita di contenuti, sintetizzati nei dieci punti elencati nel documento siglato dai due uomini forti libici. In un tale contesto, l’iniziativa italiana, affiancata – non dimentichiamolo – da programmi dell’Unione europea e di agenzie delle Nazioni unite, può quindi costituire un serio e importante contributo alla stabilizzazione della Libia.

Si è accennato alla complessità dei rapporti italo – libici: sia nel periodo di Re Idris che ai tempi della rivoluzione gheddafiana, Roma è rimasta un’interlocutrice di rilievo per Tripoli nonostante il passato coloniale; nei documenti siglati per il risarcimento dei danni provocati dalla nostra occupazione anche il Rais ha significativamente accolto la tesi secondo la quale le responsabilità politiche da parte italiana erano da attribuire al regime fascista e non alla Repubblica nata dopo la II guerra mondiale. Di qui la scelta di collaborare con Roma per far sì che i rapporti economici bilaterali, soprattutto in campo energetico, fossero arricchiti da interventi nei settori della formazione, dell’istruzione, dell’agricoltura e dell’industria. Tale scelta è stata una costante dell’azione dei nostri governi: da Andreotti a Prodi, da Berlusconi a D’Alema.

Abbiamo quindi la possibilità di mantenere e consolidare le nostre posizioni a Tripoli a condizione che vi sia un gioco di squadra, di cui spesso difettiamo. La consuetudine nei rapporti bilaterali è basata su una ricchezza di conoscenze e informazioni che molti ci invidiano; anche negli anni di più aspra polemica con Gheddafi sono stati ad esempio mantenuti i contatti con molti dei gruppi di opposizione, così come i nostri connazionali espulsi negli anni ’70 dal Colonnello, hanno conservato amicizie e rapporti con interlocutori libici.

L’azione del Ministro dell’Interno Marco Minniti sembra indirizzata ad andare in profondità nel tessuto sociale e istituzionale libico: le ripetute riunioni con i sindaci libici delle aree interessate ai flussi migratori vanno in tale direzione ed è quindi auspicabile che le iniziative prettamente militari siano accompagnate da interventi in campo civile per delineare un quadro d’insieme organico, capace di stimolare collaborazioni dirette fra le componenti della stessa società civile: organizzazioni non governative, amministrazioni locali, università e centri di formazione e ricerca. Non un libro dei sogni bensì un’incisiva cooperazione bilaterale.

Da ultimo, ma non ultimo, il problema dell’energia. L’azione francese, come quella del Regno Unito e di altri, mira a ridurre il peso di Eni in Libia; la nostra azienda ha da sempre rappresentato per i principali attori del settore, un concorrente insidioso, soprattutto per la capacità, che fa probabilmente parte del Dna dell’azienda modellata da Mattei, di “sparigliare le carte”. E’ da augurarsi che tali caratteristiche possano continuare ad affermarsi anche in Libia, sempre con l’avvertimento di evitare avventure in solitario che nel lungo periodo non producono risultati lusinghieri. Sotto tale profilo va evidenziato quanto realizzato con successo dal nostro gruppo energetico in molti Paesi emergenti, con nuove tipologie di intese mirate ad accompagnare lo sfruttamento delle risorse energetiche con programmi di sostegno per le popolazioni delle aree interessate; un tale modello, se replicato in Libia con le variazioni del caso, potrebbe rappresentare un altro elemento importante per fare delle iniziative italiane un insieme organico.

*Già ambasciatore in Arabia Saudita