Politica

Migranti: l’osceno pasticcio libico di Alfano, Minniti & C.

Un Paese come il nostro, da sempre fortemente subalterno ad altri, non può ovviamente aspirare ad avere una propria politica estera autonoma. Neanche con quelli che dovrebbero essere i suoi interlocutori naturali e cioè i Paesi mediterranei a cominciare dalla Libia. Dopo aver vergognosamente subito in silenzio, finendo anzi per accodarsi servilmente, la criminale campagna di Francia e Nato contro Gheddafi, che è alla radice del caos attuale, la Farnesina non ne ha azzeccata neanche una. Colpa non certo del personale diplomatico, che è mediamente di buon livello e non ha nulla da invidiare ai colleghi degli altri Stati occidentali. Ma di una direzione politica incerta, disattenta, sempre pronta a prendere direttive da Washington e/o da Berlino e che magari, come l’impagabile Alfano, molto più sensibile alle proprie declinanti fortune politiche che alle sfide impellenti che scaturiscono in continuazione dalla situazione internazionale.

Nell’ultima fase il pasticcio libico ha assunto le sembianze di una vera e propria farsa tragicomica. Sprovvisti di qualunque capacità tattica, oltre che da sempre ignari di una qualsivoglia prospettiva strategica, gli occupanti abusivi della Farnesina, per ultimo proprio Alfano, hanno con ogni evidenza puntato sul cavallo sbagliato e cioè il tal al Serraj che controlla, e male, solo una parte del territorio nazionale libico, sprofondato in una guerra civile permanente con decine di contendenti, tutti agguerritissimi e ben armati. E tutto lascia pensare che Alfano e il solo apparentemente meno sprovveduto Paolo Gentiloni intendano sprofondare fino al collo nella palude libica inviando addirittura un numero imprecisato di navi da guerra non si sa bene a fare che, più che altro marcare il territorio come i cani che a tale fine usano mezzi meno pericolosi e meno dispendiosi come la pipì. L’improvvida mossa dei due Napoleoni in sedicesimo rischia addirittura di scatenare un conflitto con il più forte attore militare libico e cioè il generale Haftar, mentre Emmanuel Macron miete successi, sia pure solo televisivi e di facciata, spacciandosi per il grande mediatore in grado di mettere d’accordo al Serraj, Haftar ed altri. Sullo sfondo, ovviamente, le enormi ricchezze petrolifere libiche che da sempre gli infidi cugini d’Oltralpe vorrebbero soffiare all’Eni.

Si sa del resto che l’Europa, oltre ad essere un’espressione geografica, è tutt’al più un grande mercato e quindi inutile pretendere che vi sia un qualche barlume di politica estera comune. Basta vedere del resto a chi hanno affidato la relativa carica: Federica Mogherini che, come del resto Gentiloni, Alfano, Tajani, Casini, Renzi ed altri, passa il suo tempo a prendersela con Maduro e con gli otto milioni di venezuelani che hanno democraticamente votato l’Assemblea costituente anziché sforzarsi di dare un senso concreto alla propria carica.

E’ proprio l’Europa del resto a pagare pesantemente la propria sconcertante assenza di idee. Mentre ogni Stato, in politica estera e in altri campi (si veda quello che è successo a Fincantieri) continua a farsi gli affari suoi (e gli italiani a quanto pare sono quelli che se li fanno nel modo peggiore), l’unica cosa che interessa ai nostri “partner”, come il ministro austriaco, è restare indenni dall’ondata di appartenenti a razze palesemente inferiori che incombono dalle frontiere Sud. Di qui la bella pensata di un altro politico italico, il ministro degli interni Marco Minniti, di ostacolare in ogni modo le attività umanitarie e di soccorso delle organizzazioni non governative, che non fanno altro che rispondere a un elementare imperativo etico, salvare le vite umane, surrogando peraltro in modo fin troppo efficace le fughe e le abiure degli organi pubblici che con il passaggio da Mare Nostrum a Triton hanno abdicato chiaramente a tale compito e i risultati si vedono con l’incremento drammatico delle morti per annegamento nel Mediterraneo.

Una politica estera, o per meglio dire una politica tout-court, priva di ogni bussola sia essa di carattere strategico o etico (laddove le due cose dovrebbero andare per quanto possibile insieme, ma qui sono assenti entrambi). Neanche la possibile alternativa a cinquestelle a questa decotta classe politica parrebbe da questo punto di vista molto esaltante, dato che Luigi Di Maio soccombe a sua volta alla retorica filosalviniana dell’invasione e auspica che venga posto termine ai salvataggi. In realtà, come scrive Marco Omizzolo, autore con In Migrazione di un recente studio in argomento, il vero problema “è il ritardo del nostro Paese nel costruire un sistema di accoglienza di qualità con una visione che non sia soltanto tesa a tamponare gli sbarchi”. Ma l’ottica emergenziale è certamente più funzionale a coloro che vogliono costruire le proprie fortune politiche sull’esasperazione e l’ingigantimento del problema migratorio per costruire una facile e strumentale valvola di sfogo alle angosce degli italiani che hanno ben altra origine.

Il quadro insomma è sconfortante, ma dal seno stesso della parte migliore del popolo italiano potrebbero emergere forze nuove e realmente alternative che pongano fine una volta per tutte a questa imbarazzante vergogna.