Cultura

Beni artistici, 40mila sono a rischio alluvione. Com’era la storia della ‘cultura petrolio d’Italia’?

Nel piano nazionale di ItaliaSicura entra la riduzione del rischio frane e alluvione per 40.393 testimonianze storiche, monumentali, architettoniche, siti archeologici sul totale delle 205.000 sparse per il paese. E’ la tutela della nostra storia straordinaria e unica, la nostra identità culturale che si è formata in tremila anni e anche attraverso una millenaria convivenza di borghi con faglie sismiche, di città universali con fiumi pericolosi.

Questo patrimonio immenso, motore di economie locali, è oggi troppo esposto ad eventi alluvionali e frane nei vari scenari di pericolosità, come dimostra il mappa di Ispra”. Erasmo D’Angelis, coordinatore della Struttura contro il dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche di palazzo Chigi, annuncia l’apertura di un nuovo settore di interventi della stessa Struttura. L’occasione è “La Cultura da salvare. Beni culturali e rischi naturali. La mappa delle opere a rischio frane e alluvioni. Il Piano nazionale degli interventi. Il Piano finanziario”, convegno realizzato da Italia Sicura, in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

“Serve prevenzione strutturale costante, permanente, programmata e progettata… anche la difesa della nostra storia entra nella pianificazione che prevede 9.400 opere con un piano finanziario complessivo di circa 10 miliardi in corso di investimento, con 1337 cantieri già in corso, e il recupero del clamoroso ritardo nelle progettazioni per il 90% delle opere”, prosegue D’Angelis. Dalle mappe realizzate da Ispra emerge quel che fa la differenza. Insomma, i dati. I beni culturali a rischio alluvione e frane. Musei, siti archeologici, chiese e palazzi storici. Quasi ottantamila opere d’arte, disseminate in migliaia di borghi storici e città. Più di tremila sono a Roma e quasi 1.300 a Firenze. Cifre impressionanti.

“I beni culturali esposti a rischio da frana e idraulico in Italia sono rispettivamente 5.511 e 11.155… Tali dati sono da intendersi come preliminari e dovranno essere oggetto di ulteriori analisi e studi di maggior dettaglio con la finalità di definire piani per il controllo e il monitoraggio per i BB.CC e le priorità di intervento per la messa in sicurezza idraulica e il consolidamento dei versanti instabili che minacciano tale patrimonio”. Così concludevano la ricerca su “Beni culturali e rischio idrogeologico in Italia” Daniele Spizzichino, Carlo Cacace, Carla Iadanza e Alessandro Tigila. Era il 2013. Dunque in quattro anni la situazione è peggiorata e non poteva essere diversamente. Ogni anno, ad ogni rapporto dell’Ispra, i consueti commenti di routine. Da una parte il governo, anzi i governi, tutti, senza distinzioni di rilievo. Dall’altro le opposizioni. Senza distinguo, ininfluenti fino all’apatismo. Tutti d’accordo sulla necessità d’intervenire. Tutti a sostenere l’ovvio. “I monumenti sono il nostro passato” e poi il richiamo “all’identità nazionale” e, ancora, il refrain su “la cultura che è il nostro petrolio”. Naturalmente solo parole. A seguire il nulla.

Italiasicura promette molto, ma come tante delle operazioni messe in cantiere da Renzi rischia di essere una nebulosa. Quel che è indubitabile (certo) è la retorica con la quale D’Angelis parla del progetto. Un racconto che utilizza “tutela”, “nostra storia straordinaria e unica”, “identità culturale” e, ancora “Patrimonio immenso, motore di economie locali”, come parole dall’appeal indiscusso. Parole in libertà. Perché i Beni culturali non sono minacciati solo da alluvioni e frane ma anche dalle politiche di un governo, prima di Renzi ed ora di Gentiloni, che li considera “merce”. Forse proprio per questo potrebbe fare qualcosa per diminuire il pericolo di rovina a causa di fenomeni naturali. La “merce”, la “roba” perché possa produrre profitto deve essere salvaguardata. Certo, è probabile, non tutta. La più preziosa. Quella che richiama più turisti.

Ps. Sarà un caso che Ispra stia rischiando il “collasso economico”, dopo il licenziamento di 93 ricercatori precari?