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Banche popolari venete, un finto cavaliere bianco per mascherare il salvataggio con soldi pubblici

Intesa Sanpaolo non intende metterci più di un euro. E senza farsi carico degli esuberi e delle altre grane, di cui dovrà occuparsi una bad bank. Il conto lo pagherebbero gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati e lo Stato. Il tutto a patto che Commissione Ue e Bce diano il via libera. Altrimenti la risoluzione tornerebbe di attualità

“Facciamo come la Spagna, ma con i soldi dei contribuenti”. Si potrebbe sintetizzare così, con una battuta, l’ultima uscita sulle banche venete per le quali non si parla ormai più né di ricapitalizzazione preventiva, né di “soluzione di sistema”, ma solo di un semplice tentativo di salvare la faccia facendo finta che un cavaliere bianco ci sia davvero – Intesa Sanpaolo – mentre a mettere i soldi per coprire i buchi saranno i cittadini. La tragedia di Popolare Vicenza e Veneto Banca rischia dunque di trasformarsi in farsa, anzi in una mascherata carnevalesca in cui Ca’ de Sass veste i panni del Santander, e i contribuenti quelli di Pantalone mentre il governo incrocia le dita e spera che lassù a Bruxelles qualcuno si muova a pietà e faccia passare un “bail out” (cioè un salvataggio con denaro pubblico) travestito da qualcos’altro. Del resto, dopo settimane di pressing sul sistema bancario raccogliendo solo “no” a volte neanche troppo cortesi, e dopo l’apertura di una sorta di “data room” nel tentativo estremo di trovare qualche compratore, al Tesoro non restava poi molto altro.

Intesa Sanpaolo si è dunque fatta avanti, dicendosi disponibile a rilevare “in solitaria” le due banche al prezzo simbolico di un euro, a patto però che tutte le grane se le carichi sulle spalle una bad bank. Dunque, a differenza del Santander che ha rilevato il Banco Popular e si prepara a varare un aumento di capitale da 7 miliardi di euro per farsi carico di tutte le problematiche connesse all’acquisizione, l’istituto guidato da Carlo Messina non vuole mettere nulla più di un euro in questa operazione, portandosi a casa la parte “sana” delle due banche, cioè la parte commerciale con la sua presenza territoriale e i suoi attivi, e lasciando ad altri il compito di occuparsi delle perdite, dei crediti deteriorati così come di quelli in bonis giudicati “ad alto rischio”, delle obbligazioni subordinate, nonché delle partecipazioni e dei rapporti giuridici considerati “non funzionali”, vale a dire i contenziosi potenziali ed effettivi con la clientela, i soci e con altri ancora, come ad esempio quello tra Popolare Vicenza e Cattolica Assicurazioni.

Le condizioni poste dal board di Intesa per perfezionare l’operazione prevedono “condizioni e termini che garantiscano, anche sul piano normativo e regolamentare, la totale neutralità dell’operazione rispetto al common tier 1 ratio e alla dividend policy del gruppo”. Dunque sono esclusi aumenti di capitale. Inoltre, la cornice legislativa che deve essere “approvata e definitiva” deve assicurare tra l’altro “la copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione (vale a dire anche gli esuberi che si prevedono numerosi, ndr) e la sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni comunque avanzati nei confronti di Intesa Sanpaolo per fatti antecedenti la cessione o relativi cespiti e rapporti non compresi nelle attività e passività trasferite”. Ovviamente il tutto è subordinato “all’incondizionato placet di ogni autorità competente, anche con riferimento alla relativa cornice legislativa e regolamentare”. Tradotto, la cosa per Intesa Sanpaolo si può fare a patto che sia blindata e ottenga il semaforo verde anche da Bruxelles (Commissione europea) e Francoforte (Bce).

Se però Intesa non intende farsi carico degli immensi problemi delle due banche, e posto che questi non possono certo sparire senza che nessuno provveda a mettere i quattrini, chi pagherà il conto di questo pseudo-salvataggio? In prima battuta, dovrebbero essere azzerati gli azionisti (cioè il fondo Atlante più quello 0,1% del capitale che resta in mano ai vecchi soci) e i detentori di obbligazioni subordinate delle due banche. Fatto questo, secondo le prime stime degli analisti, lo Stato dovrebbe iniettare circa 2,5-3 miliardi di euro nella “bad bank” che si troverebbe ad ereditare tutte le problematiche in capo ai due istituti. Bruxelles darà il via libera a un’operazione siffatta? Pochi sono disposti a crederci, ma ancora non si hanno i dettagli di questa sorta di “Piano B” che – grazie ai quattrini dei contribuenti – toglierebbe le castagne dal fuoco a governo e al resto del sistema bancario che in caso di risoluzione sarebbe chiamato a intervenire con nuovi finanziamenti al Fondo nazionale.

Mai dire mai: in questi mesi si è detto tutto e il contrario di tutto e se l’ennesimo piano dell’ultimo minuto dovesse rivelarsi impraticabile, ecco che la risoluzione – con lo spauracchio del bail-in – tornerebbe d’attualità, come in effetti continua ad essere data la situazione delle due banche. Vale la pena notare per inciso che – a parte la probabile contrarietà dell’Europa – a rompere le uova nel paniere rischia di essere anche il tasso di approssimazione con il quale da anni ormai si scrivono norme e decreti. Basti ricordare a titolo d’esempio il caso della legge sulla trasformazione delle banche popolari in spa, bocciata platealmente dal Consiglio di Stato e ora all’esame della Consulta.

Dunque, quanto potrà davvero essere blindata la “cornice legislativa” richiesta da Intesa?  E quanto tempo occorrerà? In attesa che si decida qualcosa, le due banche continueranno a emettere bond con garanzia statale a copertura delle sempre più pressanti esigenze di liquidità. Al momento sono stati emessi titoli per oltre 10 miliardi: chi si farà carico del rimborso quando arriveranno a scadenza? E a proposito di bond, alla fine della scorsa settimana il governo ha stabilito per decreto la sospensione del rimborso del bond subordinato di Veneto Banca in scadenza il 21 giugno, sancendo di fatto il default tecnico dell’istituto ancorché il governo abbia giustificato la misura (un vero e proprio abuso di potere) con la necessità di non violare la par condicio tra i creditori. Il default, però, è nei fatti (tecnicamente il prestito non è stato rimborsato): che conseguenze potrebbe avere sull’istituto di Montebelluna e sulle obbligazioni da questo emesso un eventuale ricorso dei creditori?