Calcio

Juve-Real, la caduta dei bianconeri nella partita più importante dell’anno. Crollo mentale e fisico: è sindrome da finale

Difficile dire cos’è passato nella testa dei giocatori juventini tra la fine dei primi 45 minuti e la ripresa, in cui sono letteralmente scomparsi dal campo. La maledizione delle finali di Champions League prosegue nella maniera più inspiegabile e dolorosa per i tifosi. Allegri: “Avremmo dovuto gestire meglio, rallentare in certe fasi, non si può andare sempre a cento all’ora”

Chissà cos’è successo nello spogliatoio del Millennium Stadium durante i 15 minuti dell’intervallo della finale. Cos’è passato nella testa dei giocatori della Juventus tra primo e secondo tempo, in cui sono letteralmente scomparsi dal campo. La maledizione delle finali di Champions League prosegue nella maniera più inspiegabile e dolorosa per i tifosi juventini. Con una partita persa contro un grande avversario come il Real Madrid, certo. Ma persa male, con un punteggio alla fine quasi umiliante. E persa praticamente senza giocare nella ripresa.

Il giorno dopo la delusione lascia spazio alla ricerca delle cause della sconfitta. Del crollo ad inizio a ripresa, ben evidente anche prima che il Real mettesse a segno l’uno-due decisivo. Basti dire che in tutti i secondi 45 minuti la Juventus ha tirato solo una volta verso la porta Navas, senza nemmeno inquadrare lo specchio. Crollo mentale, fisico o entrambe le cose? È inevitabile pensare alla “sindrome da finale” di cui tanto si era parlato e temuto alla vigilia. Però la Juve la partita l’aveva approcciata nella maniera giusta, aggredendo gli avversari, sfiorando il gol due volte già nei primissimi minuti e poi pareggiando immediatamente il primo svantaggio di Ronaldo. Altro che timore reverenziale. Il primo tempo è stato ottimo. Forse anche troppo, col senno di poi: può essere che la Juve abbia corso e speso troppo nei primi 45 minuti, rimanendo senza energie nel momento più importante, in cui il Real è uscito da campione. È questa la tesi sposata anche da Allegri, che ha detto: “Avremmo dovuto gestire meglio, rallentare in certe fasi, non si può andare sempre a cento all’ora”. Problema di gambe, insomma. Ma a ben vedere anche quello sarebbe un errore di testa, per una squadra esperta come la Juventus, che le partite secche è abituata a vincerle da una vita.

In Italia, però, non in Europa. È questo il punto, l’unico dato certo con cui confrontarsi: le sette finali di Champions perse. Era già stato record due anni fa dopo la sconfitta con il Barcellona, ora lo è ancora di più: nessuno ha mai perso così tanto in campo internazionale, nemmeno il Benfica “maledetto” da Bela Guttmann. “Ci riproveremo l’anno prossimo”, dice il presidente Agnelli e pure Allegri, che non ha nessuna intenzione di arrendersi e cercherà la terza finale. Anche se per molti protagonisti di questa squadra quella di Cardiff rischia davvero di essere stata l’ultima occasione. Per Gianluigi Buffon, ovviamente, che alle soglie dei 40 anni sognava di sollevare l’unico trofeo che mancava alla sua carriera. Ma anche Barzagli, Bonucci, Chiellini e Marchisio, lo zoccolo duro del gruppo, hanno tutti superato i 30, come pure Dani Alves, Khedira, Mandzukic. L’11 titolare della Juve di ieri è il secondo più anziano di sempre mai schierato in una finale di Champions. Hanno ancora davanti una o due stagioni ad altissimo livello, ma un ciclo perfetto, addirittura leggendario per i sei scudetti di fila in Serie A, potrebbe rimanere incompiuto a livello internazionale.

Si riparte da qui. Da una notte amara che non sarà possibile dimenticare e dalla voglia di reagire, capire per poter un domani finalmente sconfiggere il complesso delle finali. L’avversario più duro per i bianconeri, a cui si è arresa anche questa squadra che sembrava imbattibile e destinata a vincere tutto. La Juventus ha forza e mezzi per ricominciare. Ormai è entrata stabilmente nell’élite europea, ha un fatturato vicino al mezzo miliardo di euro, la Champions lascerà comunque in dote un tesoretto di circa 130 milioni di euro. Con questi soldi si può programmare, ringiovanire la rosa e accompagnare dolcemente il ricambio generazionale (operazione che del resto Marotta ha già cominciato, opzionando praticamente tutti i migliori prospetti del panorama italiano). Magari prendere altra gente che ha già vinto: l’apporto di Dani Alves e Khedira è stato fondamentale quest’anno per la cavalcata europea. Non è bastato per fare l’ultimo passo, superare le paure del passato, alzare la coppa. Per quello serviranno ancora un paio di grandissimi campioni. O forse solo un ottimo psicologo.

Twitter: @lVendemiale