Politica

Legge elettorale, possibile che nessuno veda i rischi del proporzionale?

La domanda che mi frulla per la testa da qualche tempo è: quelli che fanno la battaglia per il proporzionale si sono accorti che stanno assieme a una schiera enorme di convertiti? E perché ci sono tutti questi zelanti neofiti che fino a ieri erano maggioritaristi? I motivi sono due: o perché vogliono uno “strapuntino” anche se non governeranno (la chiamano rappresentanza, ma non fatevi ingannare) oppure perché vogliono governare con le larghe intese e se la stanno letteralmente facendo addosso per paura del M5S.

I pentastellati, invece, inspiegabilmente si sono ora convertiti anch’essi al proporzionale alla tedesca, a dimostrare che di governare non hanno nessuna voglia. Dice “ma io sono sempre stato proporzionalista”. Ebbè, ma è proprio quello che dico: come mai i neofiti del proporzionale sono i più grandi zeloti? Non c’è qualcosa di strano? Non sarà forse che hanno capito che questo consente alle piccole forze di sopravvivere (e infatti la “sinistra” si unificherebbe obtorto collo per spaccarsi subito dopo il voto) e alle grandi – ma non troppo (come sono i partiti oggi) – di governare inciuciando a seggi chiusi?

È un caso che autorevoli esponenti dei fuoriusciti dal Partito democratico, alla domanda “ma vi alleereste con Renzi?” abbiano nicchiato senza esprimere una posizione chiara? No, non lo è, perché questo è esattamente ciò che il proporzionale consente. A me pare il giorno della marmotta, a essere franchi: dopo la Prima Repubblica, dopo quello che abbiamo visto in questi ultimi anni tra Monti, Letta, grandi intese, Renzi e Gentiloni, adesso che vogliamo? Di nuovo le intese post-elettorali? Questa cosa che nessuno veda il rischio mi manda ai pazzi (appunto la barzelletta di quello che dice c’è un matto che viaggia contromano e il matto risponde “Uno solo? Mille”).

Parli con i proporzionalisti ed erano tutti, fino a mezz’ora fa, maggioritaristi. Renzi in primis. Il punto è che una forza politica seria ti dice prima cosa vuole fare, e con chi. Altrimenti, non è credibile. E “con chi” non per stupide ragioni identitarie, bensì per realismo politico, per onestà e accountability: se dici che vuoi fare una legge sul fine vita con Alfano, so che mi stai prendendo in giro. Capisco l’esigenza di rappresentatività dei partiti, ma ormai non esistono più i partiti ideologici di massa in cui il voto era una cambiale firmata all’ideologia del partito. Ai giorni nostri, i contenuti sono talmente mutevoli che non si può pensare di firmare in bianco affidandosi a un apparato ideologico che è evaporato, o meglio che si è uniformato a una sola, imperante ideologia, quella del mercato.

Oggi occorre essere concreti, non si può chiedere all’elettore di sottoscrivere un patto con una delega che viene data al di là delle persone e solo all’impostazione del partito. Quel mondo è finito. Ma almeno, se col maggioritario una forza politica dice prima che non farà politiche neoliberiste e poi va al governo con il centro-destra, sai che la volta successiva potrai punirla. A meno che la volta dopo non si approvi una legge proporzionale che tenga ancora a galla tutti. Infischiandosene dell’accountability, fregandosene dell’impegno di mantenere fede alle promesse. Perché dopo le elezioni ci sarà sempre un “Ce lo chiede l’Europa” o “Ce lo chiede il presidente della Repubblica”. Invece, in politica la credibilità (se non è tutto) è tanto.