Capitoli

  1. Ong, ‘in Africa l’obiettivo è creare business sostenibili per far tornare chi è emigrato. Ma lo sviluppo non ferma le partenze’
  2. Dall'assistenzialismo al business sociale che evita la trappola della dipendenza
  3. L'informazione su rischi del viaggio e realtà della vita in Europa
  4. "Serve un piano di migrazione legale e selettiva: così si incentiva a tornare in patria"
  5. La provocazione: "Le ong? Più utili se stanno nelle stanze dei bottoni invece che sul campo"
Onlus & Dintorni

L'informazione su rischi del viaggio e realtà della vita in Europa - 3/5

Cooperanti ed esperti sono d'accordo: aumentare reddito e livello di istruzione non previene gli sbarchi, anzi. Ma è utile per creare opportunità di lavoro che incentivino a rientrare. Fondamentale poi l'informazione sui rischi del viaggio e sulla realtà della vita in Europa. L'ideale però sarebbe un piano di migrazione "legale e selettiva"

Secondo Lentati, peraltro, in Senegal il “mito dell’Europa” sta tramontando: “Oggi tra i giovani c’è molta più consapevolezza: lo sanno tutti che se si viene si rischia di finire a far gli schiavi per la raccolta dei pomodori. Migrare costa, e molto, e se in passato era visto dalle famiglie come un investimento far partire il ragazzo più sveglio, ora si ambisce molto meno a indebitarsi per mandarlo a far lo schiavo. Mentre prima, nel villaggio più sperduto, la narrazione era quella del ragazzo che aveva fatto fortuna e aveva costruito una bella casa alla famiglia, ora è diversa: si sa che chi è in Italia da anni ha perso il lavoro a causa della crisi, che diversi stanno rientrando”.

Contribuiscono a questo anche progetti informativi ad hoc.”Nei paesi dove lavoriamo, con bandi della cooperazione italiana, facciamo anche informazione sui rischi del viaggio e sul tipo di vita che aspetta chi sbarca in Italia”, riferisce a ilfattoquotidiano.it Massimo Salvadori, responsabile dell’Africa occidentale per Coopi. “Lavoriamo con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni in due centri di transito, uno a Niamey e uno ad Agadez, con supporto psico-sociale e informativo sul viaggio oltre il Niger. Spesso chi parte non ha percezione dei pericoli a cui va incontro. Il viaggio dura circa due anni, all’inizio coi soldi della famiglia, poi con quelli guadagnati lavorando lungo il percorso per pagare i trafficanti”. Molti poi si vedono costretti a tornare indietro: vanno allora seguiti perché “scioccati dalle esperienze vissute, con problemi da stress post traumatico” e aiutati a reinserirsi.

La maggior parte dei bandi dell’Agenzia per la cooperazione, continua Salvadori, “ora è per progetti di contrasto all’immigrazione verso l’Europa, ma questo è possibile solo attraverso il miglioramento delle condizioni di vita sul posto. E comunque se non cambiano le politiche nei paesi d’origine il flusso continuerà: conflitti armati, cambiamento climatico, disoccupazione, governi corrotti non fanno che spingere a partire”. Oggi poi, spiega, in quell’area è in atto “una crisi alimentare fortissima legata alla carestia in corso in tutta la fascia del Sahel”. Ecco perché molti dei giovani che si spostano verso l’Europa oggi partono dall’Africa occidentale, in particolare da Senegal, Gambia, Mali, Costa d’Avorio, Guinea e Nigeria.