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Sindacati, nella messe di dati confusi una certezza: quasi metà degli iscritti non lavora più

Le varie sigle si contestano a vicenda le cifre fornite, rinfacciandosi di gonfiare i tesseramenti. Poi c’è l’Inps, che in parte smentisce tutti, e la Commissione Europea che fornisce statistiche ancora diverse

I primi a non saper bene chi rappresentano, in realtà sembrano essere proprio loro: i sindacati stessi. Se si chiedono cifre esatte, le risposte che si ricevono sono abbastanza vaghe. “Gli iscritti nell’ultimo anno? Dateci qualche giorno, vi faremo sapere”. “Le fasce d’età dei nostri tesserati? Non abbiamo questi numeri, dovremmo elaborarli apposta per voi”. Del resto, incombono i preparativi del Primo Maggio: tutti si dicono indaffarati nell’organizzare eventi e manifestazioni. L’Ugl, dopo 3 giorni di attesa e di solleciti, alla fine chiederà scusa: “Non siamo riusciti a soddisfare le vostre richieste. Capiteci: siamo anche impegnati sul fronte Alitalia”. E insomma non è facile cercare di dare una risposta definitiva ad un interrogativo che in realtà proprio la vicenda Alitalia – con la vittoria del No al referendum tra i lavoratori della compagnia sul piano di salvataggio proposto dagli azionisti e accettato dai sindacati – ha riproposto in modo perentorio: chi rappresentano, oggi, i sindacati?

I numeri, seppur a fatica, alla fine si trovano ed evidenziano una fortissima componente di pensionati che sono circa la metà dei tesserati. Ma è bene prenderli con le dovute cautele, visto che sono tutt’altro che pacifici. Le varie sigle si contestano a vicenda le cifre fornite, rinfacciandosi a vicenda di gonfiare i tesseramenti. Poi c’è l’Inps, che in parte smentisce tutti i sindacati, e la Commissione Europea che fornisce statistiche ancora diverse.

Ebbene, all’inizio del 2015, stando alle rilevazioni effettuate dall’Inps, gli iscritti al sindacato nel complesso ammontavano a 15milioni e 778mila (quasi il doppio rispetto agli 8,9 milioni del 1986). La parte del leone la fanno ovviamente i confederali. Nel 2015 la Cgil dichiarava 5 milioni e mezzo di tesserati, con un calo di 130mila unità rispetto al 2012; la Cisl poco meno di 4,3 milioni, con una flessione di 144mila aderenti in 3 anni. Più indietro, e sostanzialmente stabili nel corso del triennio, la Uil nel 2015 contava 2,2 milioni di aderenti, la Ugl “circa un milione e 900mila”. Ma si tratta di numeri contestati: sia dalla Confsal, che nel 2012 denunciò “oltre 3 milioni di iscritti fantasma” nei registri dei sindacati appena citati; sia da Cisal, il cui segretario generale, Francesco Cavallaro, nel gennaio scorso sottolineava un paradosso: “Sommando il numero degli associati, si scopre che in Italia ci sono più iscritti al sindacato che italiani”.

Prendendo per buoni i dati Inps, viene comunque da chiedersi: quei quasi 16milioni di iscritti, sono tanti o sono pochi? Secondo uno studio della Commissione europea realizzato nel 2015, il tasso di rappresentatività generale, in Italia, si aggira intorno al 37%, in lieve risalita rispetto ai dati raccolti nel decennio precedente. Vuol dire che su 100 lavoratori, 37 sono iscritti ad una qualche organizzazione. Certo, poca roba se si fa un paragone con quanto accadeva a metà degli anni ’70, quando la rappresentatività sfiorava il 50%, ma comunque una quota significativa: la settima più alta dell’Ue.

Il dato che però, più di tutti, impressiona, ha a che fare con la composizione degli iscritti ai sindacati. E soprattutto con la loro anzianità. Sono infatti oltre 7 milioni i pensionati con una tessera in tasca: in sostanza, il 45,2% del totale. Numero, questo, che continua a lievitare con gli anni: i pensionati sindacalizzati erano 5,7 milioni 10 anni fa, e addirittura 2,8 milioni a metà anni ’80. In 30 anni, insomma, il numero è aumentato del 250%. Venendo ai dettagli, sono quasi 3 milioni, nel 2015, gli iscritti allo Spi-Cgil (il 52,7% del totale), quasi 1,9 milioni, nello stesso anno, i membri della Fnp-Cisl (45,5% del totale) e 577mila, infine, i pensionati tra le file della Uil (poco più di un quarto del complesso degli iscritti).

All’estremo opposto, è davvero irrisoria la percentuale dei giovani che sembrano credere nell’importanza del ruolo del sindacato. In questo caso è difficile reperire dati complessivi: bisogna affidarsi alle statistiche fornite dai sindacati della Triplice. Ebbene, tra gli iscritti attivi (dunque escludendo i pensionati) alle due maggiori organizzazioni italiane, meno di un quinto ha un’età inferiore ai 35 anni: il 16% in Cisl (dati 2016), il 19% in Cgil (dati 2015). Hanno tra i 36 e i 50 anni il 43% dei tesserati nel sindacato di Annamaria Furlan, il 45% degli aderenti a quello di Susanna Camusso; gli ultrasessantenni, infine, costituiscono il 41% del bacino della Cisl e il 36% di quello della Cgil. Sempre rispetto ai lavoratori attivi, la Uil fa sapere che “un terzo dei nostri iscritti ha meno di 45 anni, un terzo ha un’età intermedia e un altro terzo è ultrasessantacinquenne”.

Quanto al genere, la Cgil ha tra i propri tesserati un 41% di donne, la Cisl il 43%, la Uil il 37%. Le aree del Paese più rappresentate sono, per Cgil e Cisl, quelle del Nord: dall’Emilia Romagna in su vive circa la metà degli iscritti totali di entrambe le sigle, che poi contano, grosso modo, un terzo dei tesserati al Sud e un quarto al centro. Diversa la ripartizione per la Uil, più forte nel Mezzogiorno (con oltre il 40% dei propri tesserati residenti dall’Abruzzo in giù) di quanto non lo sia nel resto del Paese.

Resta da dire, infine, della crescita della componente straniera. La constatano tutti i principali sindacati: “Soprattutto nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura e della metalmeccanica”, precisano dall’Ufficio stampa della Cgil, pur ammettendo di non disporre nell’immediato di dati aggiornati. Gli unici a fornire una cifra esatta sono i tecnici della Cisl: “Il 14% dei lavoratori attivi iscritti alla nostra confederazione sono nati all’estero: i più numerosi sono i Romeni, che costituiscono da soli un quinto del totale della categoria”.