Cultura

Božidar Stanišić e Angelo Floramo, da Sarajevo a Venezia senza erigere barriere

Božidar Stanišić, filosofo bosniaco autore di saggi critici, poesie e libri per l’infanzia, nel 1992 approda a Zugliano, in Friuli, scappato da Sarajevo, dove insegnava letteratura in un liceo, in seguito al suo rifiuto di imbracciare le armi e portare una divisa confezionata per combattere nella guerra in Bosnia ed Erzegovina. L’anno dopo approda nelle librerie I buchi neri di Sarajevo (Mgs press), ora ripubblicato insieme ad altri testi inediti con il titolo I buchi neri di Sarajevo e altri racconti, da Bottega errante edizioni, con una prefazione di Paolo Rumiz.

Quella di Stanišić è una Sarajevo immobile, una città incredula che non può lontanamente pensare che quello che sta accadendo nelle sue strade sia reale. Tutti i racconti, anche quelli più intimisti e riflessivi, sono scritti in uno stile giocato su movimenti e azioni, poco importa se fisiche o mentali: una sorta di tentativo di uscire dal limbo doloroso della guerra, da ciò che l’ha preceduta e da quello che è diventata.

I buchi neri di Sarajevo è una raccolta nostalgica, scritta da un uomo consapevole che nulla, dopo, sarebbe stato come prima: un’identità pluralista dilaniata dall’indifferenza e dal mondo intero prima ancora che dalle bombe e dai colpi dei cecchini sulle montagne. Una città che è bruciata, insieme al patrimonio tattile della sua biblioteca e a quello orale della sua gente. Bosniaco di cultura serba e sposato a una bosniaca di famiglia croata, Božidar Stanišić è l’esempio vivente di quello che era la Jugoslavia. È dovuto andarsene da quel limbo e ha scritto un libro necessario per capire un pezzetto fondamentale e quotidiano della storia del Novecento. Lo ha fatto con uno stile asciutto, sintetico, vivido ed essenziale.

Per lo stesso editore è uscito da poco L’osteria dei passi perduti di Angelo Floramo che, dopo il successo di Balkan Circus e di Guarneriana Segreta, prosegue il suo cammino di autore curioso e viandante. Si tratta di 14 storie piene di una straripante umanità e di poetiche solitudini di confine che hanno come centro attrattivo l’osteria e le pratiche che si svolgono al suo interno: il mangiare e il bere.

L’osteria è vista come metafora, luogo d’incontro reale e immaginario di faccendieri, viaggiatori, contrabbandieri, fuggitivi, fantasmi, gente comune con idiomi diversi. L’osteria approdo di zingari, gentiluomini, anime smarrite, sapori, gusti, lacrime e sorrisi.

Attraverso curiosità, leggende, pillole di storie comuni e di grandiosi eventi, Floramo si muove tra Friuli, Slovenia, Istria, Carinzia e Veneto, dichiarando tra le righe che il pellegrinaggio o la “viandanza” o la più globalizzata flânerie, sono l’unico modo per potersi approcciare serenamente alla vita, senza sentire il bisogno di erigere barriere davanti al prossimo.