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Seat Pagine Gialle, la storia si ripete. Invece di farla crescere, i soci puntano alla cassa ereditata dal concordato

La gestione targata Naguib Sawiris non fa eccezione nella travagliata storia dell'azienda che con una mano studia la distribuzione di cedole e con l’altra beneficia del sostegno pubblico del ministero dello Sviluppo economico con la cassa integrazione per circa 600 dipendenti.

Non c’è pace per Seat Pagine Gialle. Neanche dopo il passaggio di Naguib Sawiris. Le condizioni, del resto, c’erano tutte grazie alla cassa ereditata dal concordato (120 milioni in tutto) in cui l’azienda era finita nel 2013 schiacciata dai debiti. Lo aveva anche promesso un anno fa in Borsa l’ad di ItaliaOnline, Antonio Converti che, dopo l’incorporazione di Seat, aveva prospettato acquisizioni all’estero con i soldi trovati in pancia alla società delle Pagine Gialle. E, invece, la gestione del magnate egiziano non fa eccezione nella travagliata storia di Seat che con una mano studia la distribuzione di cedole ai soci e con l’altra beneficia del sostegno pubblico del ministero dello Sviluppo economico con la cassa integrazione per circa 600 dipendenti.

Dopo aver conquistato Seat nel maggio 2015, la Libero Acquisition di Sawiris, i fondi GL Europe Luxembourg, GoldenTree e San Bernardino County Employees’ Retirement Association si preparano infatti a presentare il conto. I soci, che rappresentano l’88,9% del capitale di ItaliaOnline, chiederanno all’assemblea del prossimo 27 aprile di staccare un maxidividendo vicino agli 80 milioni. E’ una cifra decisamente elevata, pari a circa il doppio di quanto sborsato per rilevare Seat. Finirà così che buona parte delle risorse recuperate faticosamente dalla gestione commissariale delle Pagine Gialle andranno nelle tasche di Sawiris e dei fondi. Il denaro che il magnate egiziano ha trovato in Seat servirà quindi solo in minima parte a sviluppare e consolidare il business di ItaliaOnline, ma di certo rimpinguerà corposamente le casse dei nuovi padroni servendo magari anche a rimborsare i debiti contratti per mettere le mani su Seat appena due anni fa. “A fine 2016, Italiaonline può contare su un margine operativo lordo pari a 67 milioni, in crescita del 52,2% rispetto al 2015 e su una posizione finanziaria netta positiva per 122 milioni in miglioramento di 48 milioni rispetto ad un anno fa”, spiegano dalla società interpellata dal ilfattoquotidiano.it sulla questione della maxicedola. “Anche in caso di distribuzione di un dividendo straordinario pari a circa 80 milioni, il gruppo potrà contare comunque su una liquidità pari a circa 42 milioni, in attesa di un’ulteriore crescita grazie alla generazione di cassa – continuano dal gruppo – Inoltre l’eventuale distribuzione del dividendo straordinario non va a inficiare in alcun modo la possibilità di perseguire una strategia che prevede anche una crescita per linee esterne, alla luce delle capacità di generare cassa e dell’assenza di debito”.

Tuttavia la scelta dei soci di Italiaonline di staccarsi una maxicedola a poco tempo dall’acquisizione è per Seat è un drammatico dejà vu che è peraltro contro gli stessi principi del concordato sulla base del quale sono stati chiesti sacrifici a obbligazionisti e dipendenti. Non è la prima volta infatti che la finanza gioca brutti scherzi all’azienda torinese nata dopo la Prima Guerra Mondiale come costola della Sip. Nel 1997 Seat fu una delle prime aziende pubbliche ad essere privatizzata dal governo di Romano Prodi. Con i suoi elenchi in cui le imprese facevano a gara a conquistarsi visibilità, la Seat pubblica era una gallina dalle uova d’oro che non mancò di suscitare l’attenzione dei privati. Se la conquistò il consorzio Ottobi, composta da otto soci fra cui Comit (oggi Intesa), De Agostini della famiglia Boroli-Draghi (quelli dei libri, ma anche dei giochi Lottomatica) e la stessa Telecom Italia. Il consorzio mise sul piatto 854 milioni per il 61% di Seat. Denaro che rientrò rapidamente nelle tasche dei soci ripagando anche i debiti contratti per effettuare l’acquisizione. Nel giro di poco tempo, infatti, i soci di Ottobi, che vollero alla guida di Seat Lorenzo Pelliccioli, si staccarono una cedola da circa 700 milioni. Non contenti a meno di due anni dalla privatizzazione, fusero poi Seat con l’indebitata Ottobi. Con il risultato che il debito contratto per l’acquisizione si trasformò in debito della società delle Pagine Gialle. Infine quando nel 2000 la vendettero alla Telecom di Roberto Colaninno, i soci di Ottobi intascarono ancora 6,7 miliardi, ben otto volte di più di quello che aveva incassato il Tesoro.

Nonostante lo spolpamento, il business di Seat continuò a portare a casa risultati. Tuttavia la Telecom di Franco Bernabé decise di cederla alla Spyglass Spa dei fondi di investimento Permira, Cvc, Investitori associati e Bc partners. Il copione non fu diverso da quello di pochi anni prima: subito dopo il passaggio di mano, Seat staccò ai soci una maxicedola da 3,6 miliardi, di cui 1,8 miliardi finirono nelle tasche dei nuovi soci. Non solo: i nuovi padroni piazzarono poi anche il 12,4% della società in Borsa ricavandone altri 800 milioni. Il risultato della gestione Spyglass? Alla fine del 2011 il debito Seat raggiunse la cifra stratosferica di 2,7 miliardi. Di qui iniziò l’era della ristrutturazione del debito culminata nel commissariamento del 2013 su cui ancora dovrà far luce l’inchiesta della Procura di Torino che ha appena rinviato a giudizio 15 persone fra cui l’ex ad Luca Majocchi. Arrivarono quindi le traversie in tribunale, il commissariamento, l’azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici ed infine la vendita a prezzi di saldo a Sawiris e ai fondi. Un affare d’oro.

Aggiornamento
Il Tribunale penale di Torino il 18 giugno 2020 ha assolto Luca Majocchi dal reato contestatogli perché il fatto non sussiste.