Politica

Il Partito democratico? Dilaniato dalle lotte di potere

Lascia francamente stupefatti ascoltare Andrea Orlando, impegnato per la prima volta nella sua vita in uno scontro (quasi) frontale, adottare tecniche argomentative risalenti a oltre mezzo secolo fa. Cos’altro sarebbe l’escamotage anti-renziano di proporre la discussione sui principi primi e secondi al posto della conta congressuale, se non il riciclaggio della furbata con cui il Padre della Patria (?) Ugo la Malfa si barcamenò per anni nella morta gora della politica italiana, congelata dal vento della Guerra Fredda: la cosiddetta “politica dei contenuti”.

Pura acrobazia dialettica di potere. Come di potere sono le logiche (inconfessate/inconfessabili) retrostanti a un po’ tutte le posizioni in lizza nella dissoluzione in corso del Partito democratico: Matteo Renzi ossessionato dalla pulsione al regolamento di conti, per lo scopo primario di gestire in totale libertà la composizione delle liste dei candidati alle elezioni nazionali, che prima o poi si terranno; Pierluigi Bersani e soci terrorizzati dal pericolo di non venire più rieletti e – così – essere costretti per la prima volta nella loro vita a ricollocarsi nel mondo reale cercandosi un lavoro. E non tutti hanno ad attenderli una pompa di benzina in quel di Bettola, provincia di Piacenza. Di certo un problema che non tocca Massimo D’Alema, che potrà continuare a produrre vino nella sua tenuta umbra, rientrando periodicamente nella Capitale per ironizzare ferocemente sulla Terza Via blairiana che il Renzi voleva praticare con una ventina d’anni di ritardo (e della quale lui si era fatto italico portabandiera quale referente del Blairismo rampante, due decadi prima).

Corollario di queste miserie lo scontro bisbigliato tra il converso Orlando e il suo compagno di cordata Matteo Orfini, per nulla disposto a rinunciare alla carica sostanzialmente decorativa di presidente del Pd di osservanza renziana. Una increspatura nel mondo della politica, che – tuttavia – mette a repentaglio la pittoresca componente dei “Giovani Turchi”; trampolino di lancio carrieristico di ex giovanotti che ormai hanno abbondantemente superato la quarantina (per cui l’aggettivo “giovani” suona involontariamente derisorio): professional politici dall’età pre-puberale, poi ingrigiti nei corridoi di partito.

Appunto, miserie. Ma che dimostrano chiaramente l’avanzata corrosione della presa sulle dinamiche interne del Partito democratico di chi le aveva manovrate a piacimento nell’ultimo triennio, il presunto “loRenzi il Magnifico”: il precoce incartapecorimento di una leadership assolutistica, già accompagnata dal coro assordante dei cortigiani a destra e sinistra. Breve la vita felice del “ragazzo di Rignano”, rivelatosi un re Mida alla rovescia. E ormai ridimensionato a poca cosa dalle defezioni, compresi i pacchetti di mischia che, in questo come altri blog, ingolfavano lo spazio dei commenti nei post critici verso l’allora premier; contrapponendosi massicciamente alle “ultime raffiche” grilline. Queste altre tuttora molto attive, nonostante le mattane dei Boss, l’opportunismo dello Staff e il sempre più sfuggente profilo dei vari Luigi di Maio e Virginie Raggi.

Prendiamone atto una volta per tutte: con questo bestiario immiserito non si profila nessuna salvezza per il Paese. E prenderne atto potrebbe essere la premessa per reazioni più serie del torpido quanto ricorrente millenarismo da “arrivano i nostri”: credere che il cambiamento effettivo discenda dal cielo. Con questa gente qua. Che non ha nulla dei grandi protagonisti della politica novecentesca. I politici suscitatori di energie collettive (mi viene da dire, i Churchill, i De Gaulle o i Kennedy), i grandi uomini di Stato capaci di sciogliere nodi e governare (magari tipi come Helmut Schmidt).