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Ilva, il gip: “Pene concordate tra Riva e pm incongrue alla gravità dei fatti. A rischio tutela di chi deve essere risarcito”

Tra le motivazioni con cui sono stati respinti i patteggiamenti per Adriano, Fabio e Nicola Riva c'è il fatto che la rinuncia a ogni pretesa nei loro confronti da parte del siderurgico rappresenta una “totalizzante abdicazione non solo da parte degli imputati ma anche del commissario straordinario e del curatore speciale di Riva Fire alla tutela di molteplici e variegati interessi che richiederebbero altre forme di salvaguardia”

L’accordo che dovrebbe ‘scongelare’ il miliardo e trecento milioni custoditi in Svizzera “rischia di tradursi in una sostanziale e totalizzante abdicazione” alla tutela degli interessi di chi potrebbe essere risarcito dai familiari dell’ex patron dell’Ilva, Emilio Riva. È una delle motivazioni con cui il gip del tribunale di Milano, Maria Vicidomini, ha respinto i patteggiamenti concordati con la procura da Adriano, Fabio e Nicola Riva. Le richieste non possono essere accolte per la loro “assoluta incongruità” a fronte della “estrema gravità dei fatti contestati”, visto che si tratta – sottolinea il magistrato – di “plurimi reati di bancarotta fraudolenta caratterizzati da numerose distrazioni asseritamente realizzate attraverso complesse operazioni ai danni di Riva Fire e Ilva”.

Una bocciatura tout court dell’accordo sulle pene e anche sulla cifra che rischia di rallentare il processo di vendita dell’Ilva, attualmente commissariata, perché il rientro degli 1,3 miliardi – base delle richieste di patteggiamento dei Riva a Milano e della società Riva Fire nel processo Ambiente Svenduto a Taranto – è la ‘garanzia’ per i nuovi acquirenti di avere a disposizione le cifre che serviranno per completare il risanamento del siderurgico. L’accordo tra la famiglia Riva e Ilva era stato annunciato dall’ex premier Matteo Renzi durante l’ultima diretta #MatteoRisponde prima del referendum costituzionale del 4 dicembre.

Il commento del giudice è però laconico: per Vicidomini, l’intesa rappresenta “un accordo omnicomprensivo che, raggruppando in maniera generica una molteplicità di reciproche rinunce ad azioni esercitabili in sede civile, amministrativa e penale, rischia di tradursi in una sostanziale e totalizzante abdicazione, non solo da parte degli imputati ma anche del commissario straordinario di Ilva spa e del curatore speciale di Riva Fire alla tutela di molteplici e variegati interessi che richiederebbero altre forme di salvaguardia”. A fronte degli impegni presi dalla famiglia Riva, infatti, il gruppo Ilva rinunciava “a qualunque pretesa nei confronti degli esponenti della famiglia Riva e delle società a loro riconducibili”, mettendo fine così “al vasto contenzioso in essere nell’ambito di una transazione di carattere generale che comprende reciproche rinunce”.

Un passo che il giudice ha giudico una “totalizzante abdicazione”. Non a caso, le richieste di patteggiamento e l’intesa economica tra Riva e Ilva avevano provocato i malumori di diverse realtà tarantine, come aveva raccontato ilfattoquotidiano.it: a dicembre, durante un’udienza del processo, alcune parti civili, tra cui il sindacato SlaiCobas, avevano urlato “vergogna, vergogna, questa non è giustizia” in riferimento al fatto che le richieste di risarcimenti dei danni nei confronti delle persone giuridiche potrebbero venir meno a causa del patteggiamento.

L’intesa tra i magistrati e i Riva dovrà ora essere ridiscussa. Per quanto concerne le pene ritenute “incongrue”, Adriano Riva, 86 anni, accusato di bancarotta, truffa e trasferimento fittizio di valori, aveva raggiunto un accordo con la procura di Milano per una pena di 2 anni e 6 mesi di carcere. Il nipote Fabio, accusato di bancarotta, aveva proposto un patteggiamento compreso tra i 4 e i 5 anni, mentre l’altro nipote Nicola, anche lui indagato per bancarotta, voleva chiudere con 2 anni di carcere. I pm coordinati da Francesco Greco avevano detto sì alle richieste anche per la disponibilità dimostrata dai Riva a far rientrare il tesoro da 1,3 miliardi custodito in Svizzera e gestito da una trust nell’isola di Jersey. Una cifra non sufficiente per tombare tutte le pendenze. E oltretutto al momento bloccata dalla mancata pronuncia della Corte di Jersey, cui dovrà seguire quella del Tribunale di Losanna, il tutto non prima del 31 marzo a causa di un rinvio a catena degli scorsi giorni.

Il gruppo Riva nel pomeriggio ha diffuso una nota con cui “rende noto che rimane immutata la volontà di fattiva collaborazione con l’autorità giudiziaria di Milano e di Taranto e con il Governo per la soluzione delle questioni riguardanti le problematiche Ilva”.