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Ferrovie dello Stato, la privatizzazione corre sui binari della polemica: “Violata la norma contenuta nella legge di Stabilità”

L'attacco in un’interrogazione parlamentare di Scotto e Bordo (Sinistra italiana): “Manca la relazione del Mef sugli effetti della vendita”. Con la quale il ministero dell’Economia deve ragguagliare il Parlamento su una serie di profili inerenti l’alienazione del 40% del Gruppo. Eppure, il 2 dicembre scorso, il governo si era affrettato “a trasmettere alle Camere uno schema di decreto” del presidente del Consiglio. Senza che il dicastero di Via XX Settembre avesse prima adempiuto all’impegno prescritto dall’ultima manovra

La legge di Stabilità 2016 parla chiaro: qualora “entro il 31 dicembre 2016” si dovesse procedere alla vendita “di quote o a un aumento di capitale riservato al mercato del Gruppo Ferrovie dello Stato spa”, il ministero dell’Economia (Mef) è tenuto a presentare alle Camere “una relazione” sull’impatto “economico, industriale e occupazionale” della privatizzazione. Invece, il 2 dicembre scorso, “il governo si affrettava a trasmettere in Parlamento uno schema di decreto” del presidente del Consiglio per avviare “l’iter di privatizzazione di una quota minoritaria” del Gruppo sino al 40%. Sul quale le commissioni Trasporti di Camera e Senato “sono state chiamate ad esprimere il loro parere”. Senza che il ministero dell’Economia abbia ancora presentato al Parlamento la relazione prevista proprio dalla legge di Stabilità. Una mancanza sulla quale ora, i deputati di Sinistra italiana chiedono conto all’esecutivo con un’interrogazione (primi firmatari il capogruppo Arturo Scotto e Franco Bordo) al ministro dei Trasporti, Graziano Delrio.

CAMERE OSCURE – Un fatto di estrema gravità, secondo i parlamentari dell’opposizione, dal momento che la relazione avrebbe dovuto fornire alle Camere informazioni non solo circa “i dati finanziari e industriali degli effetti” della vendita o “dell’eventuale aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato”, ma anche sulla “minore spesa per interessi derivante dall’utilizzo delle risorse incassate dall’alienazione per la riduzione del debito pubblico”. Oltre ad indicare l’ammontare dei “minori dividendi versati” alle casse statali per effetto della vendita stessa” e gli effetti della vendita o dell’aumento di capitale “riservato al mercato sul piano industriale del Gruppo”. Dati fondamentali per approfondire un’operazione il cui obiettivo, scrivono gli interroganti richiamando il Documento di economia e finanza 2016, è quello “di ricavare dalle privatizzazioni lo 0,5 per cento di Pil l’anno” nel triennio 2016-2018. L’equivalente di “circa 8 miliardi di euro l’anno”. Ma secondo Scotto e Bordo, “non si capisce come si possa varare in via definitiva un decreto, di cui peraltro ad oggi non si conosce ancora il testo e se questo rechi modifiche o integrazioni rispetto a quello inviato alle Camere, con cui definire i criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione della partecipazione detenuta dal Mef nel capitale di Ferrovie dello Stato”. Senza contare, insistono i deputati di Sinistra italiana, che “appare del tutto inspiegabile il motivo per cui si intenda, in controtendenza rispetto a quanto accade in altri Paesi europei come la Francia e la Germania, privatizzare una società solida e in crescita come Ferrovie dello Stato”.

TUTTI A BORDO – Una scelta che non sembra considerare “i rischi derivanti da una affrettata privatizzazione soprattutto sotto il profilo della salvaguardia del mantenimento dei diritti e delle tutele per le lavoratrici e i lavoratori operanti nel comparto ferroviario”. Né l’eventualità che “il processo di privatizzazione e la possibile pressione finalizzata al taglio dei costi”, possa aggravare “l’attuale situazione di crisi in cui versa il Paese”. Con inevitabili conseguenze, avverte l’interrogazione, “sul piano della riduzione del numero dei dipendenti, il maggior ricorso all’outsourcing e al subappalto dei servizi, l’aumento dei contratti atipici”, dei “lavoratori in somministrazione” e “dei carichi e della pressione sul lavoro”. L’unica cosa certa, ad oggi, fanno presente Scotto e Bordo, sono i contenuti dello schema di decreto inviato, a suo tempo, alle Camere. Composto da un unico articolo suddiviso in quattro commi. Che prevede “il mantenimento di una partecipazione dello Stato” al Gruppo Ferrovie “non inferiore al 60per cento”; che la vendita possa essere effettuata “anche in più fasi” con due opzioni: “offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia” oppure “offerta pubblica di vendita rivolta a investitori istituzionali italiani e internazionali”; e “forme di incentivazione per la partecipazione all’offerta pubblica di vendita da parte dei dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato”.

Twitter: @Antonio_Pitoni