Cinema

Festival di Cannes 2016, George Miller presidente di giuria. La grande personalità sul trono, il verdetto in cavalleria

Solo nove film in quasi 40 anni di carriera, un filone aurifero e monumentale da storia del cinema d’azione e perfino fantascientifico come Mad Max, intervallato da maialini, pinguini e streghe, il regista dovrà assegnare la Palma d'oro di quest'anno. Senza che apparentemente se ne comprenda il motivo. Tanto si sa che questo è il classico giochino delle direzioni artistiche dei tre festival internazionali più chic al mondo: Cannes, Venezia, Berlino. La grande personalità, comunque, sul trono

Lo hanno richiamato sulla Croisette perché lui l’anno scorso gli ha regalato un capolavoro (fuori concorso). Ma che cosa ci faccia esattamente George Miller a Cannes 2016 come presidente di giuria non è dato sapere. Solo nove film in quasi 40 anni di carriera, un filone aurifero e monumentale da storia del cinema d’azione e perfino fantascientifico come Mad Max, intervallato da maialini, pinguini, dal sulfureo Le streghe di Eastwick e dallo strappalacrime Olio di Lorenzo, George l’australiano, che con gli straordinari componenti del cast tecnico di Mad Max: Fury Road ha sbancato gli Oscar 2016 presentandosi con strampalate “mise”, dovrà assegnare in un amen l’agognata Palma d’Oro per l’anno corrente. Tra chi e cosa deve scegliere il nostro funambolico e coraggioso signore dai pick-up ipergommati e dalle flessuose aste da combattimento? Ken Loach, Jean-Pierre e Luc Dardenne, Pedro Almodovar, Jim Jarmusch, solo per ricordare la partita di giro da Montées des Marches che va in concorso a Cannes anche in ciabatte, telo e occhiali da sole. Probabile che George non abbia mai visto un film di Ken, o di Pedro o di Jean-Pierre e Luc, e viceversa.

Mondi sideralmente lontani che dopo decenni si toccano al cospetto del festival più blasonato del pianeta. Immaginarsi la reazione di Miller, sicuramente uomo di larghe vedute progressiste e minimaliste, di fronte agli attempati falegnami di I, Daniel Blake che non riescono più a ricevere tutele del Welfare britannico (o quel che ne resta), o al nuovo (vecchissimo) Almodovar con l’ennesima colorata giaculatoria madre/figlia, è il rebus più affascinante della prossima Cannes. Sarebbe come mettere Philip K. Dick presidente di giuria del Premio Strega e fargli leggere il romanzo su Don Milani.

Tanto si sa che questo è il classico giochino delle direzioni artistiche dei tre festival internazionali più chic al mondo: Cannes, Venezia, Berlino. La grande personalità, comunque, sul trono. Poi il verdetto in cavalleria. Capita così che i fratelli Coen, nell’annus horribilis per le insegne italianofile (2015) consegnino la Palma d’oro a Deephan di Jacques Audiard. Lo scandalo non è tanto cinematografico, perché Deephan è comunque un buon film, quanto dell’esotica sorpresa coeniana: i fratelloni che rimescolano amabilmente registri e dimensioni dell’allegorico premiano un pamphlet ultrarealista che nemmeno il primo Rossellini. Incomprensibili testacoda di senso, improvvise virate nazionaliste sulla Croisette ne son capitate parecchie.

Basta ricordare Quentin Tarantino che nel 2004 pone tra le manone sante di Michael Moore la Palma per Farhenheit 9/11. Lui dopo aver scosso tante tradizionali certezze cinefile si affida al documentario con vocine e scherzetti post 11 settembre dell’omone di Flint. Un altro blitz dell’ultima ora lo effettua nel 2008 Sean Penn (quest’anno in Concorso da regista con The Last face, terzomondismo africano con l’ex moglie Charlize Theron) assegnando il supremo premio al dimenticatissimo Entre le Murs di Laurent Cantet.

Anche a Venezia i ricordi non svaniscono in un istante. Tutti ricordano ancora quando Marco Bellocchio stava assaporando il Leone per Buongiorno Notte nel 2003 e il presidente di giuria, il “compagno” Mario Monicelli, ha silurato il maestro di Bobbio premiando, forse con qualche reminiscenza pre ’89, l’etereo Il ritorno di Andrej Zvjagincev. Poi certo, le giurie sono composite e stratificate, differenti culture e saperi si mescolano, le discussioni si animano (non sempre) fino a tardi, ma a livello provinciale come internazionale i presidenti alla fine contano eccome. Guardate che ha combinato all’ultima Venezia un cineasta di altissimo livello come il messicano/hollywoodiano Alfonso Cuaron. Assegna il Leone d’Oro 2015 a Desde Allà (Ti Guardo) del venezuelano Lorenzo Vigas: praticamente una rimpatriata tra amigos latinoamericani con echi da ufficio di futuro collocamento. Così tra i compagni di giuria Kirsten Dunst, Mads Mikkelsen, Vanessa Paradis, Donald Sutherland, Laszlo Nemes, Katayoon Shahabi e Arnaud Desplechin, Miller taglierà il nodo gordiano il 22 maggio prossimo.

Se tanto ci dà tanto, quest’anno un outsider di poco riguardo, retrovia delle retrovie, guadagnerà la Palma. Anche se a Miller qualcuno dovrà suggerire che Brillante Mendoza, Park Chan-Wook, Nicolas Winding-Refn, tanto per dirne altri tre che per un parvenu potrebbero risultare sorprese hanno già girato più film di lui in nemmeno vent’anni di servizio.