Cultura

Eleonora Buratto, il soprano star a Chicago nel Falstaff con Muti: “Pochi giovani a teatro? Colpa della scuola. E della politica”

Intervista alla cantante lirica mantovana che ha trionfato nel debutto dell'opera di Verdi negli Usa. Dagli studi con Pavarotti ai complimenti ricevuti da Placido Domingo. Appassionata di rock, soul e blues, attivissima sui social (da facebook a instagram) "La scuola ignora o quasi la storia della musica. "Se fossi ministro della Cultura? Farei prima un passaggio dal collega dell'Istruzione: i guai sono lì perché rinunciamo alla nostra identità musicale"

Verdi, Muti e Maestri: un triangolo che nel Falstaff, commedia lirica e ultimo lavoro del Cigno di Busseto, ha trovato tanta fortuna. A iscriversi in questo triangolo lirico è Eleonora Buratto, giovanissima liric-star che, in compagnia della Chicago Symphony Orchestra, nei panni di Alice ha firmato, tra applausi e ovazioni, la Prima. Dai palchi d’opera all’impegno nel sociale, dalla passione per generi come il rock e il blues a una decisa presenza sui social network, Eleonora Buratto, 33 anni, mantovana, già interprete, fra le altre, di Adina nell’Elisir d’amore di Donizetti e Contessa nelle Nozze di Figaro di Mozart, con le sue strepitose interpretazioni ha fatto venir giù dagli applausi diversi tra i più importanti teatri al mondo. Ilfatto.it l’ha intervistata.

Tu sei molto giovane e hai anche dei trascorsi nella rock music. Cosa vuol dire fare la cantante lirica oggi? Ascolti ancora musica leggera, pop, rock e dintorni?
Io ascolto molta musica, compresi rock, soul e blues. Non potrei mai separarmi dalle mie origini… Sono cresciuta ascoltando questa musica a casa, l’amore per l’opera è arrivato relativamente tardi. Nemmeno durante i primi anni di conservatorio avevo la curiosità di ascoltare un’opera intera, la passione ha messo radici qualche anno dopo. Essere una cantate lirica oggi non è per niente facile, non che lo sia mai stato, ma ora i tempi di una carriera richiedono molta pazienza, studio, dedizione e sacrifico. Il risultato è assolutamente gratificante.

Tu hai avuto l’incredibile opportunità di studiare, per tre anni, col re indiscusso della lirica, Luciano Pavarotti. Che ricordi hai e quale eredità ti ha lasciato?
Ho bellissimi ricordi di Pavarotti. L’eredità più bella che mi ha lasciato è proprio la passione bruciante per l’opera e la forza che se ne può trarre, ma anche la generosità verso il prossimo.

Sei reduce dalla prima del Falstaff di Verdi diretta a Chicago da Riccardo Muti: come ti trovi nella collaborazione con una delle star mondiali della grande musica d’arte?
È un direttore fantastico! Lavorare con lui è un arricchimento musicale continuo. Le sue prove musicali sono le più intense che io abbia mai fatto. E’ un vero onore potere cantare e imparare con lui, un’esperienza unica e bellissima.

Recentemente l’altro gigante dei Tre Tenori, Placido Domingo, durante l’intervallo del Don Pasquale al Metropolitan di New York, ti ha raggiunto in camerino per porgerti i suoi complimenti. Cosa ti ha detto e cosa si prova a ricevere gli elogi di uno dei mostri sacri della lirica dei nostri tempi?
Non mi aspettavo proprio di ricevere una sua visita in camerino e i suoi gratificanti complimenti! Mi ha detto che ho una voce bellissima e che riempivo il teatro con i miei armonici. E soprattutto che sentiva già nella mia voce un ruolo in particolare, quello di Desdemona dell’Otello di Verdi. Ha concluso dicendo “e chissà che altro potrai cantare in futuro!”. Mi sono sentita molto lusingata.

Nell’immediato futuro vestirai i panni di uno dei personaggi più noti del mondo della lirica, la Mimì de La Bohème di Puccini, a Barcellona dal 19 giugno. Come ci si prepara per un ruolo simile? Come intendi interpretare questo grande personaggio?
Da tempo attendo il debutto in questo ruolo, è uno dei miei preferiti. Come sempre la preparazione di un debutto richiede molto tempo, la prima fase è quella tecnica e di allenamento muscolare. Poi si passa a rifinire stile e fraseggio. Mimì mi piace, è una ragazza debole di salute ma assolutamente sveglia, quindi cercherò di trovare un equilibrio fra questi suoi due aspetti per dar vita e voce alla “mia” Mimì.

In questo momento sembra che l’opera stia vivendo un nuovo momento felice: i teatri sono abbastanza pieni e anche il pubblico più giovane sembra essersi riavvicinato. Quanto conta, in questo senso, essere presenti sul web e avere una vita social, come fai tu, molto attiva (facebook, twitter, instagram)?
Credo sia molto importante avere visibilità sui social e avere un contatto anche diretto coi fan è un modo per tenerli sempre aggiornati sugli spostamenti e gli impegni, ma anche per renderli partecipi del rapporto emozionante con la musica e di alcuni momenti della mia vita privata. Per me è gratificante avere instaurato un rapporto di questo tipo con il pubblico.

 

“Non sapremo mai quanti giovani direi “geneticamente” melomani continuiamo a perdere. La scuola ignora o quasi la storia della musica”

Cosa diresti ai giovani che non non si sono mai avvicinati all’opera o che addirittura la considerano musica noiosa, stantia, oramai passata?
Che si sbagliano. Il problema è che non sapremo mai quanti giovani direi “geneticamente” melomani continuiamo a perdere. La scuola ignora o quasi la storia della musica, in Conservatorio si va per fare lezione, si studiano i programmi per gli esami, resta poco tempo per andare all’opera e non tutti i Conservatori si trovano in città che hanno un teatro d’opera. Restano i cd, i video, internet, Rai 5, tutte cose ammirevoli, ma non è lo stesso che stare in un palco all’opera con i tuoi amici, seguire la partitura, lasciarsi incantare dalla musica, formarsi un proprio gusto e, perché no, anche seguire i propri direttori o cantanti del cuore.

L’Italia, oltre a essere patria dell’Opera è anche la culla della grande tradizione musicale d’occidente. Oggi però gli italiani hanno una scarsissima cultura musicale: cosa faresti, quali azioni metteresti in campo se domani stesso diventassi ministro dei Beni culturali? 
Forse chiederei di fare prima un passaggio al ministero dell’Istruzione. I guai sono lì, nell’ignoranza musicale oramai storicizzata, in un’educazione musicale che non si preoccupa di formare il pubblico di domani. Un peccato, rinunciamo alla nostra identità musicale senza accorgerci che stiamo perdendo un altro pezzo di quella culturale. Da sempre sento fare questi discorsi dai più grandi musicisti, Riccardo Muti innanzitutto. Purtroppo, tutti si dicono d’accordo ma nulla cambia.

Molti i giovani talenti, non solo nella musica, che trovano fuori dall’Italia maggiori opportunità, e perciò si parla da tempo di fuga di cervelli. Capita anche a te di sentirti maggiormente recepita, accolta, compresa all’estero e in giro per il mondo piuttosto che in terra patria?
La fuga dei cervelli in campo artistico non è mai esistita, nel senso che gli artisti e tutti quelli che lavorano nel campo dell’arte e dello spettacolo per definizione non hanno confini. Certo che i nostri grandi direttori e cantanti lavorano maggiormente all’estero, lì si programma per tempo e per tempo ingaggiano un artista per una certa produzione. Mi viene da piangere quando mi chiamano dai teatri italiani per progetti che si dovrebbero realizzare dopo pochi mesi e mi trovano già impegnata all’estero. La mia agenda è ricca di impegni fino al 2021, tutti all’estero o quasi. Non sono scappata io o gli altri miei colleghi, è l’Italia che si è chiusa dentro.

“Fuga di cervelli? Non sono scappata io o gli altri miei colleghi, è l’Italia che si è chiusa dentro”

A tuo avviso, a livello governativo, ci si sta muovendo concretamente per incentivare la grande cultura musicale italiana?
No. Non ora, non qualche anno fa. Temo nemmeno nel prossimo futuro.

Da ottobre 2015 sei testimonial di Debra Südtirol-Alto Adige, l’associazione che si impegna a favore degli ammalati di Epidermolisi Bollosa, i cosiddetti Bambini Farfalla che convivono con una pelle che al minimo contatto o sfregamento forma bolle e ferite su tutto il corpo. Credi vi siano spiragli per una futura cura di una malattia che va a ostacolare anche le più semplici attività giornaliere?
Me lo auguro, i miei amici di Debra Südtirol-Alto Adige mi informano di tutte le novità. È un campo molto delicato, non dobbiamo illuderci o illudere, non possiamo dare speranze eccessive ad ammalati e famiglie stremate da questa terribile malattia. Ma dobbiamo continuare ad impegnarci per sostenere la ricerca, creare relazioni virtuose tra tutti i soggetti coinvolti affinché la rete di protezione ora esistente si trasformi in un grande trampolino quando la malattia sarà sconfitta o saranno state gettate le basi per la sua reale sconfitta. Uscire dalla disinformazione è un buon inizio. Per tutto quello che posso fare, i Bambini Farfalla sanno che possono contare su di me.