Cronaca

Infermiera killer, la Regione sull’ospedale di Piombino: “Sottovalutato il rischio, l’organizzazione è inadeguata”

La commissione d'indagine parla di criticità soprattutto nella "gestione del rischio clinico". "Il reparto doveva rendersi conto che 6 morti in cento giorni era qualcosa di anomalo". Intanto Firenze manda personale di supporto per coprire le carenze

Nel reparto di rianimazione e anestesia dell’ospedale di Piombino ci sono un’organizzazione “inadeguata” e criticità nella “gestione del rischio clinico“. In attesa che l’infermiera Fausta Bonino, in carcere perché accusata di 13 omicidi, venga giudicata dentro un processo, la commissione regionale d’indagine ha concluso che non erano sufficienti gli strumenti di controllo non tanto per prevenire quello che finora è stato ricostruito come un omicidio plurimo, quanto per osservare, verificare e gestire l’eventuale rischio. I risultati del lavoro della commissione, guidata dal responsabile del settore Rischio clinico Riccardo Tartaglia, sono stati presentati da Stefania Saccardi, vicepresidente della Regione Toscana che ha la delega alla Salute. “Il reparto doveva in qualche modo rendersi conto che 6 morti in cento giorni alla fine del 2014 era qualcosa di anomalo” secondo la commissione. Le modalità di controllo, secondo la Regione, “sono risultate inefficaci per problemi di mancanza di consapevolezza situazionale derivante da fattori organizzativi” come leadership, continuità assistenziale, attitudine al teamworking, e mancanza di know how delle problematiche riguardanti la fisiopatologia della coagulazione. Non solo: per la Regione il sistema locale di segnalazione e analisi degli eventi avversi ha presentato “limiti rilevanti sotto il profilo dell’identificazione e comunicazione degli eventi”.

L’indagine, è stato detto, è stata svolta velocemente e con un alto livello di competenza e ha confermato alcuni elementi già emersi nel giorno dell’arresto dell’infermiera accusata di aver iniettato maxi dosi di eparina a pazienti ricoverati in terapia intensiva, ma non terminali. L’inchiesta penale va avanti, si stanno verificando altre decine di decessi avvenute all’ospedale Villamarina.

Secondo la commissione regionale gli episodi “anomali” (con deficit di sanguinamento e deficit della coagulazione) sono comparsi improvvisamente e in modo ingiustificato. Poi la sottolineatura dell’inadeguatezza del modello organizzativo del reparto. “Non tanto nella prevenzione dell’evento doloso che, per la sua atipicità e straordinarietà era difficilmente ipotizzabile, quanto nella osservazione-verifica-gestione del rischio. Nelle scelte del management aziendale, inoltre, non risulta sufficientemente riconosciuto il valore e l’importanza della gestione del rischio clinico. Non c’è stato in questo caso un coinvolgimento del risk manager aziendale”. In sostanza “la bassa percezione del rischio rispetto a ciò che stava accadendo ha fatto sì che nessun decesso sia stato considerato come un evento sentinella, il che avrebbe comportato la segnalazione al Centro gestione rischio clinico e Ministero della Salute e quindi un approfondimento immediato”, ha spiegato Tartaglia.

Cosa farà la Regione per migliorare la situazione? L’Asl 6 di Livorno (ora confluita nell’Asl Nord ovest), secondo l’assessore Saccardi in questi ultimi anni non ha prodotto “una performance sufficiente per quanto concerne la gestione del rischio clinico. Stiamo pertanto procedendo alla riorganizzazione delle funzioni di gestione del rischio clinico, affidando a un professionista di indubbia esperienza l’incarico di riorganizzare la gestione del rischio clinico in tutta l’azienda, con particolare riferimento agli ospedali periferici”. Un medico e un infermiere esperti in gestione del rischio clinico saranno di supporto per almeno 6 mesi alla struttura. Verrà offerto anche il sostegno psicologico a tutti gli operatori per aiutarli a uscire da questo momento di grave difficoltà.

Secondo la commissione, peraltro, “i piccoli ospedali, in assenza di meccanismi formativi adeguati nell’ambito della rete ospedaliera aziendale di riferimento e di quella regionale, corrono il rischio di vedere un progressivo impoverimento delle competenze professionali e culturali degli operatori sanitari locali, in relazione al ‘minor peso’ della casistica osservata ed alla carenza di stimoli formativi ad esso associata”.