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Attentati Bruxelles: siamo un bersaglio morbido

Cosa è un soft target? In gergo militare un bersaglio non strategico, come siti militari per esempio, con scarsa protezione ma che ha tutte le caratteristiche per poter creare terrore se colpito. I manuali di strategie e tattiche di guerriglia sono disponibili in rete senza difficoltà. Quindi con tutta questa abbondanza di materiale formativo, più qualche traffico nel mercato nero, procurarsi armi leggere ed esplosivi non è cosi difficile. In vero chiunque abbia una minima conoscenza di chimica può crearsi esplosivi caserecci.

In Afghanistan con i comuni fertilizzanti si creavano bombe utilizzate poi come Ied durante gli attacchi alle forze della Nato. La strategia dei terroristi moderni (diciamo Isis) è, brutto a dirsi, vincente. Il loro approccio di comunicazione è altamente sofisticato e si avvantaggia di tutti i social.

“È evidente che da un punto di vista di chi affronta questi temi, aver costruito un attacco in un aeroporto, così come in uno stadio, contribuisce a far crescere il livello della minaccia, colpendo dei nodi fondamentali della vita quotidiana delle persone”, afferma l’Onorevole Manciulli Presidente della Delegazione italiana all’Assemblea Parlamentare Nato. Anche in questi minuti, a ben guardare, tra i flussi hashtag legati all’attacco di Bruxelles si possono trovare messaggi di supposti terroristi, o semplici fan, che inneggiano all’evento. Perché colpire un bersaglio morbido? Semplicissimo: sono facili. Sono difendibili? No. Inutile creare percezioni di falsa sicurezza, nessun bersaglio morbido può essere validamente difeso. Un qualunque terrorista può salire su un treno con un comune taglierino assalire un cittadino pacifico e poi dichiarare di essere dell’Isis o di Al Qaeda. Quello che hanno fatto negli ultimi anni i terroristi è stato di conquistare i social media e li trovare terreno fertile. Il concetto base del terrorismo è generare terrore, paura. E cosa è migliore dei social media come strumento di diffusione? Io devo ammettere che, mi si prenda con cautela, non sono ancora preoccupato da questi attentati terroristici. Mi si darà del folle. Sicuramente. Tuttavia questi nuovi attentati implicano un minimo di risorse, denaro per comprare gli esplosivi, il che implica una rete di comunicazione e flussi di denaro che possono essere, potenzialmente, tracciati. Come nei precedenti attentati un Ak47 non si improvvisa, non può essere creato, quindi esiste un flusso di armi che può essere intercettato. La mia vera paura è quando il terrorismo farà il suo ultimo passo evolutivo.

Quale è l’ultimo passo evolutivo del terrorismo? Semplice: dalla sua attuale situazione di cellule (gruppi più o meno coordinati con risorse limitate e una rete di comunicazione) si passerà ad uno scenario di atomizzazione. Cosa significa in pratica? Che ad una qualunque organizzazione terroristica non servirà più fare formazione di giovani terroristi in campi di addestramento (come succede oggi): un modo di operare costoso e la cui logistica può mettere in pericolo lo stesso network di terroristi. Se i terroristi moderni si limitano a inviare informazioni e gestire con un minimo di strumenti tecnologici a bassa tecnologia e tracciabilità, come i vecchi cellulari, il gioco è fatto. Una tattica già adottata da chi opera nel settore del traffico di droga. Ora cosa succede se i terroristi (oggi è l’Isis domani chissà) cominciano a muoversi verso un coordinamento pubblicitario, limitandosi (come in vero già fanno da qualche anno) a fare spot pubblicitari? Sembra assurdo, ma non lo è. Il prossimo passo del terrorismo è piuttosto prevedibile per chiunque si occupi di comunicazione o marketing. Si vende un prodotto, in questo caso diremmo un servizio, tramite la creazione di un idea.

Costa meno fare una “pubblicità” terroristica? Sicuramente, i video dell’Isis sono molto “occidentali” come metodo di comunicazione. A veicolare questi spot pubblicitari ci pensa innanzi tutto la rete. Prima gli stessi terroristi social (quelli che magari non impugnano un ak47 ma son bravissimi a smanettare con un cellulare), poi qualche giornalista che fiuta la notizia (e ci sta magari anche una bella promozione per il pezzo in esclusiva) e poi via i grandi media televisivi e giornalistici che abboccano e cominciano a veicolare lo spot pubblicitario. Il sistema nel marketing è chiamato “virale”. Un concetto di marketing per cui gli utenti si “contagiano” tra di loro condividendo i contenuti. Curioso che il concetto di marketing virale sia stato mutuato dai concetti di guerra batteriologica (manuali standard di guerre asimmetriche). Quindi l’ultimo passo per l’evoluzione del terrorismo 2.0 da cellulare ad atomico (parlo di atomi, nessun riferimento a armamenti nucleari!) è già qui? Non ancora, fino ad ora non ci sono ancora stati eventi in cui un singolo terrorista, un lupo solitario, abbia deciso di comprarsi un’arma contundente (banalmente un martello dallo scaffale di un supermercato) o un’arma bianca (un taglierino disponibile in ogni cartoleria) e si sia dato al terrorismo autonomo in nome di qualche gruppo.

Le operazioni atomizzate sono efficaci? Se si genera terrore in un sistema complesso e altamente democratico come quello occidentale le procedure implicano, per esempio, il blocco dei trasporti nell’area dell’incidente, e dato che siamo tutti connessi come dimostra ora l’evento all’aeroporto di Brussels danneggia l’intero network aereo. L’efficienza di un terrorismo atomico, tutto in divenire, è massima con un “investimento” di risorse minime.

L’occidente è un gigantesco bersaglio morbido e, brutto a dirsi, siamo tutti esposti.

@enricoverga