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Attentati Bruxelles: bombe nella casa degli europei

Ci sono volte che gli attentati colpiscono luoghi che tutti conoscono, dove tutti sono stati perché sono crocevia dell’umanità: Manhattan, la metropolitana di Londra, il centro di Parigi. E ci sono volte che le bombe scoppiano dove noi siamo stati migliaia di volte nella nostra quotidianità, dove amici e colleghi tuttora vivono le loro routine: l’aeroporto di Zaventem a Bruxelles e le stazioni della metropolitana di Schumann e di Maelbeek, le due fermate del ‘quartiere europeo’ della capitale belga, diventano di colpo luoghi del quotidiano violati e insanguinati. Schumann, un cantiere perennemente aperto, dove i lavori sono sempre in corso; e Maelbeek, dove, quando esci, perdi sempre l’orientamento e non sai mai se sei nella direzione giusta.

Certo, che c’era da aspettarselo, che i terroristi colpissero a Bruxelles e che colpissero le Istituzioni europee: sia per mostrare che l’arresto di Salah non li ha neutralizzati, sia per attaccare i simboli della cooperazione tra le forze di sicurezza europee che, da quando funziona un po’ di più, migliora l’efficienza del contrasto all’integralismo.

Ma anche se sei sicuro che stanno per colpire, anche se Salah ti dice che stava preparando, di sicuro non da solo, nuovi attentati, ciò non basta a impedire gli attacchi kamikaze contro obiettivi indiscriminati, la folla anonima, dove nessuno è bersaglio fin quando che ti sta accanto non si fa saltare in aria. A meno di militarizzare la nostra vita e le nostre città, senza la garanzia che funzioni e con la certezza che così la diamo vinta agli untori della paura.

Venerdì scorso, il 18 marzo, la sera di Bruxelles era stata traversata da sirene che scortavano i leader dei 28 via dal Quartiere europeo, dopo un Vertice sui migranti, l’ennesimo, mentre, più a ovest, altre sirene conducevano Salah in carcere: suoni, in fondo, di sollievo, un’intesa fatta, un terrorista preso. Questa mattina, 84 ore più tardi, è una scena tutta diversa: le sirene convergono sul Quartiere europeo, suoni d’angoscia, altri terroristi hanno colpito – e, intanto, a Idomeni, a Lesbo, altri teatri di dramma e dolore, l’accordo sui migranti non funziona.

Fra le dichiarazioni a caldo che ingolfano l’informazione in queste ore, quella del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: ricorda che le istituzioni europee sono ospitate a Bruxelles anche grazie a generosità e disponibilità del governo e del popolo belga; e afferma che l’Unione saprà ricambiare la solidarietà e aiuterà Bruxelles, il Belgio e tutta l’Europa ad affrontare la minaccia terroristica. Il primo gesto è quello di fare con efficienza il proprio lavoro.

La polizia belga ha molti limiti e la cronaca dirà se altri ne ha mostrati in queste occasioni. Una risposta ‘federale’ agli attacchi odierni sarebbe la creazione di una polizia federale europea, che, sull’esempio del Secret Service degli Stati Uniti, tuteli le sedi delle Istituzioni che rappresentano – direttamente, come il Parlamento o il Consiglio – o indirettamente – come la Commissione – 500 milioni di cittadini europei. Ma la vera risposta sarà il rafforzamento della cooperazione, di polizia, giudiziaria, culturale, senza ulteriori cedimenti agli egoismi nazionali. Uniti siamo più sicuri; e più forti; e più liberi.