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Bonus 500 euro ai 18enni, quando l’investimento in cultura non segue la strategia europea

Sul piano politico resta la polemica se sia o meno una mancia elettorale. Su quello sociale il bonus non risponde ai principi di welfare da destinare alla fascia di popolazione che più rischia esclusione e povertà. Condizione tristemente comune a tutti gli altri Paesi Ue, dove tuttavia si fanno investimenti per fare formazione ed assumere

Il bonus di 500 euro stanziato dal governo Renzi a 571mila diciottenni italiani è una misura unica nel suo genere. Nessun Paese europeo destina fondi ad hoc per questa specifica categoria e nessun governo ha mai dato soldi cash, sotto forma di regalo di compleanno, al raggiungimento della maggiore età. In Germania, Austria, Olanda e Norvegia i 18enni ricevono circa 100 euro al mese, ma solo perché è previsto che il bonus bebè venga erogato dalla nascita fino alla maggiore età. Non a caso la card elettronica è stata presentata dal premier Renzi come un investimento culturale e non come un sostegno al welfare. Il bonus, infatti, nulla c’entra con le politiche sociali per i giovani messe in atto dagli altri Paesi europei dove, per arginare il dramma della disoccupazione giovanile e aiutare la fascia di popolazione che più rischia esclusione e povertà, si punta su centri per l’impiego funzionanti e aiuti alle imprese per fare formazione e assumere.

In un documento pubblicato dalla Commissione Ue lo scorso settembre – che contiene una comparazione di come gli Stati membri abbiano attuato la strategia europea per i giovani nel biennio 2013-2015 – si scopre che mentre l’Italia ha investito appena  5.278.360 di euro del Fondo nazionale giovani, spartito tra Comuni (659.795 euro), Province (264.445 euro), Regioni (3.298.447 euro) e Stato centrale (1.055.672 euro) e quasi 128 milioni di euro (al netto della spending review) per il Servizio civile, nello stesso periodo la Germania ha stanziato 35.526.752.000 di euro, in Danimarca ai giovani è andato l’1% del Pil (1,5 miliardi di euro), i ragazzi francesi hanno potuto contare su 244.551.876 di euro, quelli spagnoli (nel pieno della crisi che ha colpito il Paese) su 25.924.000 di euro e gli svedesi su oltre 31 milioni di euro. Sul fronte inglese è difficile trovare il budget stanziato, perché la gestione è decentrata, ma gli ultimi dati forniti dalla Banca Mondiale stimano che il Regno Unito abbia speso il 13,32 % della spesa pubblica e il 6,23% del suo Pil per i giovani.

Come sono stati spesi questi soldi? Secondo una ricognizione per ilfattoquotidiano.it effettuata da Eurodesk, la rete ufficiale del programma europeo Erasmus+ per l’informazione sulle iniziative promosse dalle istituzioni comunitarie in favore dei giovani, con l’evidente difficoltà che nessuno Paese prevede misure specifiche per i neo maggiorenni, spicca la Finlandia che – ultimo dato disponibile al 2013 – ha speso 86,5 milioni di euro in attività giovanili. Del resto qui il sistema di istruzione è fortemente sostenuto dal governo: a 18 anni, quando si inizia l’università, le tasse non si pagano e la Kela, l’agenzia governativa che si occupa di sicurezza sociale, eroga ai ragazzi, in base al reddito familiare, 335 euro come paghetta mensile più 200 euro per pagare l’affitto.

In Germania, dove non c’è una normativa specifica come in Finlandia, esiste un codice sociale che comprende diversi programmi che non lasciano nulla al caso: si va dall’integrazione all’istruzione, passando per sport, cultura e attività extrascolastiche per spingere sull’integrazione. Esclusa la fetta più grande dello stanziamento che va ai bimbi più piccoli, Federazione, Länder e Comuni è stato investito in formazione extrascolastica. Poi dai 15 ai 25 anni si ha diritto all’Arbeitslosengeld 2, vale a dire il sussidio per disoccupati di circa 400 euro, più la copertura di spese come l’alloggio, il riscaldamento e la corrente. Ne hanno diritto i giovani che non hanno mai lavorato. Ma pochi lo ottengono, visto che finite le scuole dell’obbligo ci si deve iscrivere obbligatoriamente ai Job center che facilmente offrono posti di lavoro e ogni 6 mesi occorre aggiornare il proprio status per poter continuare a percepire il sostegno.

La Francia prevede diversi aiuti e programmi per i giovani. A livello nazionale, dai 16 ai 25 anni, c’è l’Emplois d’avenir che offre ai non laureati una prima esperienza di lavoro per acquisire competenze. Il contratto va da uno a 3 anni. I beneficiari possono richiedere anche dei sussidi per alloggio, salute e mobilità. Attraverso il Contrats de génération, inoltre, si finanziano con 4mila euro all’anno, per 3 anni, tutte le aziende con meno di 300 dipendenti che assumono un under 26 a tempo indeterminato, affiancandolo con un altro dipendente over 57. Il Servizio civile impegna per 6-12 mesi e prevede un compenso di 467,34 euro al mese, più 106,31 euro per cibo e spese di trasporto.

In Gran Bretagna, in cui si sta riformando il sistema di welfare, è previsto che i 18enni che non studiano o non lavorano possano richiedere il Jobseeker’s Allowance, vale a dire il sussidio di disoccupazione. Fino a 24 anni si percepiranno circa 75 euro a settimana. Somma che si raddoppia attraverso l’Eligibility for universal credit, misura destinata a pagare l’affitto. Esistono, poi, le sovvenzioni statali per le imprese che assumono i giovani (16-24 anni), ma anche prestiti (dagli interessi minimi) dedicati ai neo maggiorenni che volessero avviare una start up.

E in Italia cosa dobbiamo aspettarci dal bonus di 500 euro destinato a una generazione, quella dei 18enni, sui quali lo Stato ogni anno investe solo il 4% del welfare totale? “Alla luce del divario tra Italia ed Europa – spiega Francesco Seghezzi, responsabile comunicazione di Adapt, l’associazione di studi su lavoro e relazioni industriali fondata da Marco Biagi – sembra quasi una presa in giro offrire a giovani, che stanno per affacciarsi in un mondo in cui 4 loro coetanei su 10 sono senza lavoro, qualche soldo per il teatro o i musei”. Fermo restando che da luglio 2014 i musei e i siti archeologici sono gratuiti per tutti gli under 18. “I circa 300 milioni di euro che verranno caricati nel corso dell’anno sulle card dei neo maggiorenni italiani – aggiunge Marcello D’amico, docente dell’Università Cattolica di Milano specializzato in Politiche sociali europee per le famiglie e i minori – più che altro stimoleranno i consumi, ma non produrranno benefici sociali”. Eppure basterebbe poco per farlo. “Ad esempio investire in servizi di Welfare. Ogni punto di Pil dedicato a questo – sottolinea Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan – abbatte mediamente la povertà del 2%. Conti che saprebbero fare anche gli asini”.