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Milleproroghe, anche nel 2016 obbligo di pubblicare bandi di gara sui giornali. Per gli editori la torta vale 120 milioni

Rinviata ancora la norma del 2014 che prevedeva la rottamazione della pubblicità legale sui quotidiani, sostituendola con la diffusione online. E slitta di un anno il passaggio al sistema di tracciabilità digitale di vendite e rese. Mentre in tutta Italia è emergenza inquinamento, poi, la legge concede un anno in più agli impianti industriali per applicare i limiti alle emissioni

Scena uno. Aprile 2014. Matteo Renzi, nella sala stampa di Palazzo Chigi, annuncia il decreto sugli 80 euro di bonus Irpef e i relativi tagli di spesa per finanziarlo: una slide dice che i bandi di gara dal 2015 sarebbero stati pubblicizzati solo online – e non più con (l’obbligatoria) “pubblicità legale” sui giornali di carta – e così lo Stato “risparmierà 120 milioni di euro l’anno”. In realtà la Ragioneria generale, dopo, avrebbe parlato di “risparmio zero” per via di una legge di Monti che caricava sul vincitore dell’appalto il costo della “pubblicità legale” attraverso una sorta di tassa occulta.

Gli editori, comunque, non la presero bene: 120 milioni di incasso non sono pochi, specialmente in tempo di crisi, specialmente se si è un grande gruppo editoriale – come ad esempio il Gruppo Espresso – che ha un sacco di quotidiani locali che drenano i bandi di enti locali e regioni. Le pressioni su Palazzo Chigi e Parlamento si sprecarono e così si arriva alla scena due. Giugno 2014: arriva l’emendamento con cui tutto viene rinviato al 1° gennaio 2016. E siamo alla scena tre. Giugno 2015. Un emendamentino firmato dai relatori in Senato (uno del Pd e uno di Forza Italia) al nuovo codice degli appalti cerca di cancellare l’obbligo di pubblicizzare i bandi di gara solo online: prima viene approvato, poi – e siamo a ottobre 2015 – bocciato. Insomma, gli editori stanno per perdere una torta che nel 2014 gli ha fruttato 120 milioni.

La scena quattro è l’ultima. Siamo al 30 dicembre 2015 e in Gazzetta Ufficiale arriva il solito decreto Milleproroghe. Tra le altre mille, come il lettore avrà già capito, c’è anche la proroga per il passaggio della “pubblicità legale” online: gli editori, per tutto il 2016, continueranno a incassare. Non solo: viene pure prorogato di un anno l’obbligo di passaggio al sistema di tracciabilità digitale di vendite e rese dei giornali (e pure il relativo credito d’imposta). Il cartaceo sarà anche in crisi, ma il premier – e il fido Luca Lotti, che gestisce i rapporti con gli editori – non vogliono guastare le relazioni con l’ingegner De Benedetti o la famiglia Agnelli (La Stampa e Corriere della Sera, con relative edizioni locali). Prorogato di un anno pure il divieto di incroci stampa quotidiana-tv: in sostanza, Silvio Berlusconi e Urbano Cairo non possono avere un giornale.

A spulciare il decreto di fine anno, però, ci sono anche altre cosette notevoli. Slitta ancora di un anno, per dire, l’entrata a regime del sistema di tracciabilità dei rifiuti chiamato “Sistri” (era previsto da un decreto del 2013 e se ne parla da molto prima). Viene prorogato al 31 dicembre 2016 pure il contratto di servizio tra Stato e Ferrovie, come pure il tempo limite per il ministero dello Sviluppo per emanare un decreto legislativo che sistemi la questione Uber, taxi e Ncc. Certe proroghe, poi, denunciano quanta distanza ci sia tra le parole e i fatti. Ben tre norme, ad esempio, riguardano l’edilizia scolastica, uno dei cavalli di battaglia di Renzi: è prorogato al 30 aprile 2016 il termine per l’affidamento dei lavori di messa in sicurezza degli edifici scolastici (il che vuol dire, se ci si pensa, che non li hanno affidati nei tempi stabiliti, nonostante la solita “cabina di regia” a Palazzo Chigi); conseguentemente slitta al 31 dicembre 2016 il termine ultimo per spendere i fondi stanziati per le “scuole belle”, le “scuole sicure” e via propagandando. Deliziosa l’ultima: slitta al 31 dicembre 2016 il termine di attuazione delle disposizioni in materia di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica.

Altre proroghe, invece, sono una delizia per come raccontano lo stato di confusione del dibattito pubblico – gestito anche da quelli che si godono la “pubblicità legale” – e della stessa attività di governo. Come si sa, infatti, c’è l’emergenza smog e si tengono i riscaldamenti bassi e si deve andare in auto a passo d’uomo: invece per i grandi impianti industriali anteriori al 2006 il termine per l’applicazione dei valori limite di emissione (così come definiti nel codice dell’ambiente) è prorogato al 1° gennaio 2017. Mica per tutti, però: gli impianti in questione devono avere presentato regolarmente le istanze di deroga (cioè aver richiesto il permesso di inquinare). Un caso per tutti, è l’Ilva. Equitalia, infine, che era la sentina di ogni vizio e che nessun sindaco voleva più usare, è autorizzata a lavorare per i Comuni (cosa che non vorrebbe fare, perché non conviene) altri sei mesi: se così non fosse, gli enti locali non saprebbero come recuperare multe e tasse non pagate.

da Il Fatto Quotidiano del 2 gennaio 2016