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Banche: perché si fa fronte comune contro la destra di Le Pen e non contro la Bce?

Un tempo le banche servivano a fare investimenti e a creare lavoro. Oggi producono soldi su soldi e gettano nell’abisso lavoratori e imprenditori. Un tempo aiutavano i territori a crescere e a prosperare. Oggi li lasciano come dopo il passaggio di un ciclone.

Il sistema bancario per imporre la schiavitù usa il debito in forme e sempre più prossime all’usura: imprigiona colui che chiede il prestito in un debito che non potrà più rimborsare. E gli porta via tutto. Costringendolo – è storia di questi giorni – a togliersi la vita per via della disperazione e della miseria.

È a tutti gli effetti una delle molte facce del terrorismo: è terrorismo economico, coerente con la violenza immanente in cui si condensa l’essenza del sistema capitalistico. Sorge davvero il dubbio che avesse ragione Brecht quando diceva che rapinare una banca è poca cosa rispetto al fondarne una.

Parole di Matteo Renzi: “Chi strumentalizza la morte del pensionato suicidatosi per la questione delle banche mi fa schifo”. Vero. Tuttavia, personalmente, mi fa ancora più schifo cosa ha causato quella morte.

Le banche dovrebbero essere sottomesse alla politica e alle sue regole, in modo da favorire il benessere della comunità e dei cittadini: invece, oggi, fissano loro stesse le regole della politica, che diventa semplice continuazione della finanza con altri mezzi.

Diciamolo pure: il potere finanziario ha scalzato quello politico, rioccupandone il posto vacante; come emerge dalla lettera che la Banca Centrale Europea (Bce) ci ha mandato nel 2011 per imporci la sua linea politica. Quella lettera era firmata da Mario Draghi, già vicepresidente di Goldman Sachs, la banca d’affari più potente al mondo: è lui a volere che si “ceda sovranità all’Europa” e che si privatizzi ciò che è statale.

È lui che lamenta il fatto che “in Italia vi è un’alta concentrazione di microimprese a produttività inferiore alla media” e che “vi è una legislazione che le incentiva a rimanere piccole”.

Draghi è l’emblema della politica bancaria. Il 2 giugno 1992, all’incontro segreto a bordo del Britannia, il panfilo della regina d’Inghilterra, c’era anche lui. A bordo vi erano i massimi esponenti del mondo bancario e finanziario (tra cui George Soros, il generoso finanziatore delle rivoluzioni colorate che destabilizzano i governi non allineati in giro per il mondo).

In quell’occasione i re delle banche avevano a lungo discusso della necessità di una completa privatizzazione delle partecipazioni statali e dell’industria di Stato a prezzi stracciati. Avevano già  all’epoca scritto la linea politica per gli anni a venire. Una politica di lacrime e sangue, tutta dalla parte del capitale e contro il lavoro, tutta dalla parte delle banche contro la gente comune.

E in questa cornice desolante non si capisce perché si faccia fronte comune contro la destra di Marine Le Pen e non lo si faccia, poi, contro la Bce e contro il sistema bancario, contro il “sistema euro” e contro il progetto neoliberista, che superano a destra perfino Attila re degli Unni.

“Un mondo stregato e capovolto”: così nel terzo libro del Capitale Marx apostrofa il sistema capitalistico. Definizione quanto mai puntuale, se si considerano scene di ordinaria normalità nella vita capitalistica, come il fatto che una banca possa portarti via la casa o, dall’oggi al domani, prosciugarti il conto, portandoti al suicidio.

Ma quel che più stupisce, dopo tutto, è la figura del “servo volontario”, ossia di colui che, a fronte dell’irrazionalità dilagante, dello sfruttamento e dei crimini legalizzati di cui vive il capitale, continua a credere di essere abitatore del migliore dei mondi possibili, istericamente condannando tutta la storia passata che capitalismo non fu.