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Rientro dei capitali, giudici svizzeri vs fisco italiano: “Correntisti sono liberi di ritirare i propri soldi dai conti”

Il Tribunale federale ha stabilito che le banche non possono chiedere ai clienti se siano in regola con le Entrate prima di consentire il prelievo. Un passo indietro rispetto agli impegni sullo scambio di informazioni in materia fiscale siglati a febbraio, proprio mentre il governo Renzi fa i conti sugli introiti attesi dalla voluntary disclosure

La giustizia svizzera mette i bastoni tra le ruote al governo italiano, che stando alla legge di Stabilità punta a ricavare almeno 2 miliardi di euro dall’operazione di rientro dei capitali nascosti all’estero. Il Tribunale federale ha infatti stabilito che i contribuenti italiani potranno prelevare liberamente soldi dai loro conti nella Repubblica elvetica, anche se non dichiarati al fisco della Penisola. Una decisione giurisprudenziale che va in direzione opposta rispetto agli impegni sulla trasparenza e lo scambio di informazioni in materia fiscale siglati a febbraio dal ministro Pier Carlo Padoan e dal capo del Dipartimento federale delle finanze della Confederazione Svizzera, Eveline Widmer-Schlumpf. Quell’accordo ha segnato la fine del segreto bancario svizzero segnando l’uscita del Paese dalla black list dei paradisi fiscali.

Ora però la Corte suprema elvetica ha sancito che i clienti italiani hanno diritto a ritirare e trasferire altrove i propri soldi a piacimento. Gli istituti, dunque, non possono che opporsi chiedendo che prima dimostrino di aver dichiarato il dovuto alle Entrate.

A marzo il Tribunale d’Appello aveva accolto il ricorso di un cittadino italiano che, dopo il via libera del Parlamento italiano alla legge sulla voluntary disclosure, si era visto bloccare i conti dalla filiale di Lugano di Bnp Paribas. Il cliente ha impugnato la decisione, che l’istituto aveva motivato con il sospetto che non fosse in regola con le Entrate. I giudici gli hanno dato ragione, sentenziando che per opporsi al prelievo l’istituto avrebbe dovuto dimostrare concretamente il rischio di vedersi accusare di concorso nel reato di autoriciclaggio. A quel punto la banca si è rivolta al tribunale federale.