Scuola

La musica e la sua divulgazione in Italia: storia di una straniera in terra patria

Dell’urgentissima necessità di una capillare opera di divulgazione musicale nel nostro Paese si parla poco o niente. Gli unici a porsi seriamente il problema, cercando soluzioni possibili, sono singole istituzioni sparse lungo la penisola che, con tanto impegno, tentano l’impossibile: organizzare cicli di incontri col pubblico dei “non addetti ai lavori” a scopo puramente divulgativo. Una di queste esperienza è quella che la Casa della Musica di Parma ha sperimentato, per circa un decennio (2004-2014) col LaDiMus (Laboratorio per la Divulgazione Musicale, poi convertitosi in Parlare(di)Musica), cicli di incontri organizzati con la precisa volontà di porre al centro delle proprie attività la valorizzazione della diffusione della cultura musicale a tutti i livelli.

Nonostante queste lodevoli iniziative ci troviamo però ancora in una situazione a dir poco allarmante: il Paese che diede i natali alla notazione musicale tradizionale, a molti tra i più grandi compositori di ogni tempo e a diverse tra le più belle pagine sonore della storia, lamenta oggi (e a dire il vero da tempo immemore) una totale assenza della sia pur minima alfabetizzazione musicale. Che il nostro sistema scolastico sia, da questo punto di vista, non solo carente ma una tra le principali cause del vuoto musicale che si può registrare a più livelli, si è già detto in un articolo pubblicato su FQ Magazine diversi mesi or sono.

Quello che forse può aiutare invece a comprendere meglio la situazione è il paragone con lo stato di salute, ma soprattutto di considerazione, che nutrono in Italia le arti visive. Non solo infatti nel nostro Paese esistono, da sempre, critici d’arte che godono di grande fama e ampio spazio sui mezzi di comunicazione di massa (basti pensare, tra i più recenti, a nomi davvero altisonanti come, tra gli altri, Achille Bonito Oliva, Vittorio Sgarbi, Flavio Caroli e Philippe Daverio), ma la stessa critica d’arte è, nel nostro Paese, ambito difficilmente raggiungibile da parte di coloro i quali non si siano formati ad hoc. Lo stesso non può dirsi, invece, per la critica musicale: chiunque non abbia alcuna formazione in ambito musicale e soprattutto musicologico può in Italia pregiarsi del titolo di critico musicale, o a volte addirittura di musicologo, con pesanti ricadute negative in termini tanto divulgativi quanto di immagine della musica stessa.

Anche il settore cinematografico lamenta il medesimo difetto: abbondano infatti i critici cinematografici senza alcuna formazione specifica, ma se il cinema è nato poco più di un secolo fa e dunque ha ancora molta strada da fare, la musica dovrebbe, oggi e soprattutto nel nostro Paese, godere della medesima considerazione delle sorelle arti visive. Ebbene, così non è, e basta guardarsi intorno, accendere la tv o aprire un qualsiasi giornale, per capire quanto questa arte sia ancora oggi relegata, in Italia, a un ruolo di puro divertissement, non dunque particolarmente degna di ricevere il debito trattamento da chi di dovere, ossia dagli specialisti di settore. Nessuno tra i grandi musicologi italiani ha mai goduto di uno spazio neanche lontanamente paragonabile, sui media nazionali, a quello di cui godono i grandi critici d’arte, e a farne le spese sono gli stessi italiani che vivono, senza nemmeno saperlo, a contatto con un’immensa tradizione musicale che, appunto, conoscono poco e male.

Parlando però di responsabilità, insieme alla scuola e al ritardo culturale tutto italiano, sono gli stessi musicologi a non poter vantare una particolare inclinazione verso la sfera della divulgazione, ambito verso il quale non hanno finora mostrato alcun interesse particolare. Ed è così che a parlare di musica, nei rari casi in cui quest’arte trova spazio sui media nazionali, sono sempre e solo personaggi di indubbia fama, di indubbio talento, ma per nulla formati nel settore in oggetto: “Fino ad ora, infatti – leggiamo nel libro La divulgazione musicale in Italia oggi, a cura di Alessandro Rigolli – i mezzi impiegati a tale scopo (…) sono stati occupati da chiunque volesse o dovesse “occuparsi” di musica. In questa situazione, professionisti di chiara fama hanno condiviso tale ruolo con mediocri comunicatori che proponevano (e propongono tuttora) al pubblico informazioni spesso di terza mano, datate e superficiali (…) Il pubblico del nostro Paese (…) appare in qualche modo ‘disarmato’ nei confronti dei vari linguaggi musicali. In questo senso (…) la divulgazione musicale ha il dovere di essere il più possibile seria e affidabile”, ma, aggiungiamo noi in conclusone, ha innanzitutto e soprattutto il dovere di manifestarsi.