Società

Droghe leggere, siamo culturalmente impreparati a legalizzarle

Aeroporto di Torino Caselle - Archivio

L’Italia sarà pure ad un passo dall’approdo in Parlamento del disegno di legge sulla legalizzazione della cannabis ma la cultura istituzionale sulle droghe, ahimè, sembra rimasta ferma ai “capelloni” del Barcone sul Tevere, celebre caso giudiziario da “caccia alle streghe” dei primi anni ’70.

L’altro giorno ho avuto, a modo mio, occasione di testare dogmi e paradossi del proibizionismo. Aeroporto di Roma, Ciampino: sbarcato dall’Olanda ho trovato all’uscita, come spesso accade in quello scalo di Roma, agenti dell’unità cinofila impegnati al setaccio dei passeggeri. Si vede che al finanziere canino non piacciono i capelloni, soprattutto quelli provenienti dall’Olanda: alle feste dell’agente a quattro zampe, mi hanno invitato a seguirli per un’ispezione. Il cane avrebbe annusato tracce di cannabis sulla suola della scarpa; in pratica, chiunque fosse stato ad Amsterdam qualche giorno, avrebbe teoricamente potuto rischiare le attenzioni dei finanzieri. Mi è capitato in altre occasioni di assistere da testimone ad ispezioni antidroga in altri aeroporti europei ma quelle a Ciampino (è la mia seconda volta, sempre con esito negativo) sono davvero le più singolari; tra agenti distratti che parlottano di affari loro, altri che dispensavano suggerimenti “non farci perdere tempo, se hai qualcosa daccela subito e non ti succede niente” o altri ancora dal fare minaccioso “perché se la troviamo noi, poi sono guai” sembrava di essere spettatore di una performance teatrale dell’assurdo: nessuna privacy, nessun rispetto dei protocolli tanto, troppo, parlare privo di senso e sullo sfondo quella sottile vena di paternalismo autoritario che rasenta l’abuso.

Eppure la legge italiana garantisce alle forze dell’ordine ampi poteri discrezionali in materia di ispezioni antidroga, quindi la forte pressione psicologica e i toni al limite dell’intimidatorio, oltre al capannello di  3 o 4 agenti, dove tra operativi e curiosi non si capiva chi facesse cosa, non sono certamente la strategia comunicativa più indicata per migliorare l’immagine delle
forze dell’ordine italiane, compromessa dai casi di malapolizia degli ultimi anni. Perché, ad esempio, nessuno mi ha rilasciato un verbale? L’ispezione ha avuto esito negativo ma il livello di informazione da parte delle autorità su quanto stesse accadendo sui miei diritti e sulle modalità stesse dell’operazione, una “103”, è stata, a voler essere benevoli, scadente.

E ora, senza verbale, se volessi presentare un esposto come potrei fare? La legge da loro applicata, l’art.103 del dpr 309/’90 prevede espressamente “…Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto al controllo, alle ispezioni e alle perquisizioni ai sensi dei commi 2 e 3, sono tenuti a rilasciare immediatamente all’interessato copia del verbale di esito dell’atto compiuto“. Chiaro, no? Senza verbale diventa impossibile monitorare l’applicazione della legge, segnalare eventuali abusi e introdurre la cultura della “responsabilità” nell’operato quotidiano delle forze dell’ordine. D’altronde la democrazia richiede contrappesi e in presenza di azioni coercitive straordinarie del genere, ossia ispezioni non in flagranza di reato, un minimo di
buon senso sarebbe d’obbligo. A cominciare dall’interazione tra operatore di pubblica sicurezza e cittadino.

Il mantra “se hai qualcosa daccela, altrimenti sono guai”, per esempio, è frutto di una strana interpretazione del concetto di servizio pubblico oppure la teatralizzazione di una precisa previsione normativa? Secondo Elia De Caro, avvocato dell’associazione Antigone “l’uso personale in Italia non è reato, per cui non esiste alcuna ‘aggravante amministrativa’ qualora la sostanza occultata fosse poi rinvenuta in seguito a perquisizione”. Tradotto non esiste in questo caso alcun obbligo (sanzionabile) di cooperare con le forze dell’ordine. La normativa italiana sugli stupefacenti, ha confermato De Caro, è contradditoria e lascia margine di discrezionalità tanto ampio agli agenti da finire cosi alla mercè della pattuglia o dell’operatore di turno.

Ci sono poi altre considerazioni da fare. La prima è che l’aeroporto di Ciampino è uno scalo “interno” all’Ue; poco probabile il passaggio di “muli” dal Sudamerica, molto probabile quello di consumatori di ritorno da weekend nei Paesi Bassi, in Spagna o da altri luoghi dove le normative sulle droghe (leggere) sono piuttosto rilassate. Dare la caccia ad incoscienti che si portano a casa “souvenir” proibiti dall’Olanda è davvero una priorità, in questo periodo storico poi? E soprattutto, dato che gli operatori aeroportuali, dimenticano spesso di rilasciare verbali, come possiamo chiedere conto del loro operato?

E infine, a proposito del celebre “se hai qualcosa daccela, altrimenti sono guai”, nonostante sia ormai entrato a far parte della cultura popolare abbiamo ora conferma che si tratta di un abuso, cioè di una richiesta al limite del bullismo istituzionale. Perché, al contrario, è una formula tanto diffusa e popolare tra gli agenti? Vista la creatività che ho descritto nell’applicazione della legge, non sembra troppo chiedere che un procedimento potenzialmente lesivo della dignità umana e dei principi fondamentali della Costituzione, venga trattato con i guanti  (non solo quelli usati per le perquisizioni). Se pensate sia un’esagerazione” non dimenticate che il caso Aldrovandi, il caso Cucchi, il caso Bianzino e quello Uva sono tragedie hanno avuto origine da ispezioni e perquisizioni antidroga finite male.