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The Economist, gli Agnelli salgono al 43,4% e diventano primi azionisti

La cassaforte Exor pagherà 405 milioni di euro per aumentare la propria quota nella società a cui fa capo il settimanale. Lo statuto sarà però modificato per limitare al 20% i diritti di voto di ogni socio. Secondo gli ex direttori "l'operazione manterrà ‎e anzi rafforzerà l'identità" del giornale. Gli eredi dell'Avvocato continuano a spostare il baricentro dall'industria e dall'Italia

Gli Agnelli si prendono l’Economist e ridisegnano il portafoglio di famiglia. La cassaforte Exor ha infatti aumentato dal 4,7% al 43,4% la propria partecipazione nel capitale del gruppo, diventando così il primo azionista singolo del blasonato settimanale britannico. Lo ha comunicato la stessa holding degli eredi dell’Avvocato, che come da anticipazioni delle scorse settimane ha perfezionato l’acquisto della nuova quota dal gruppo Pearson. In base all’accordo la cassaforte che controlla anche Fiat Chrysler pagherà 287 milioni di sterline, pari a 405 milioni di euro, per aggiudicarsi 6,3 milioni di azioni ordinarie e 1,26 milioni di azioni speciali di The Economist group. Nel cui consiglio di amministrazione il numero uno di Exor e presidente di Fca John Elkann siede dal 2009. L’Economist ha una diffusione di 1,6 milioni di copie e profitti per 60 milioni di sterline. L’anno scorso ha distribuito agli azionisti dividendi per 40 milioni di sterline e Exor ha ricevuto l’equivalente di 2,5 milioni di euro: la cedola più corposa dopo quella intascata da Cnh Industrial (73,4 milioni di euro).

Il resto della quota del 50% detenuta da Pearson – fresco di vendita del Financial Times ai giapponesi di Nikkei – è stato rilevato dagli altri azionisti del gruppo, tra cui le famiglie de Rothschild, Cadbury e Schroder. E’ stato però concordato che lo statuto della società a cui fa capo l’Economist sia modificato per limitare al 20% i diritti di voto di ogni singolo azionista e garantire che nessuno possa avere più del 50% delle azioni.

L’operazione di Exor, si legge nella nota, sarà finanziata con mezzi propri (la cassa di Exor ammonta a oltre 2 miliardi) e ha il “sostegno unanime del consiglio di amministrazione di The Economist”. La chiusura è prevista nel quarto trimestre dell’anno e soggetta, oltre che alle autorizzazioni di legge, anche all’approvazione da parte degli azionisti di almeno i due terzi dei soci e dei quattro amministratori indipendenti di The Economist group, il cui consenso è necessario per una serie di operazioni straordinarie. I quattro garanti continueranno a “presidiare i valori editoriali” del giornale.

Il via libera degli ex direttori – Gli ex direttori del settimanale Andrew Knight, Rupert Pennant-Rea, Bill Emmott e John Micklethwait, in una lettera aperta firmata anche dall’attuale direttrice Zanny Minton Beddoes, scrivono che l’aumento della quota di Exor “rafforzerà l’identità del gruppo The Economist”. “Exor è da 5 anni un azionista di rilevo del gruppo e il suo presidente e ad, John Elkann, è amministratore dal 2009. Ciò fa si che una reciproca concordanza di vedute esista già, oltre che una forte condivisione di obiettivi”, si legge nella dichiarazione. Inoltre, l’offerta di Exor è stata “accuratamente analizzata dai quattro trustees indipendenti”, che “sono soddisfatti di quanto Elkann ha fatto con riferimento al suo approccio al giornale e alla sua indipendenza”.

Per gli Agnelli sempre meno industria e meno Italia – A valle di questo investimento e del recente acquisto per circa 6 miliardi (di cui 4 a debito) della compagnia statunitense di riassicurazioni Partner Re la fisionomia di Exor è destinata a cambiare notevolmente. Nel portafoglio degli attivi scenderà il peso dell’industria, ormai poco remunerativa, e aumenterà quello dei servizi finanziari e dell’editoria. Con investimenti in gran parte dedicati ad attività basate fuori dall’Italia. Se fino al 2014 i 12 miliardi di asset della holding Exor erano concentrati per i due terzi nell’industria, tra Fca e Cnh Industrial, dopo il perfezionamento di queste operazioni e alla luce della vendita di Cushman & Wakefield il comparto assicurativo arriverà a valere circa il 30%. Al contempo aumenterà il peso degli “altri investimenti”, categoria sotto la quale ricadono l’Economist ma anche il 17% del gruppo di produzione tv Banijai holding e il 63,7% della Juventus. Mentre la partecipazione del 16,73% in Rcs e quella del 77% in Italiana Editrice, che edita La Stampa e Il Secolo XIX, fa capo direttamente a Fca. Che come è noto ha spostato la sede legale in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna.

Completerà la trasformazione di Exor la conquista del controllo diretto della Ferrari, dopo la separazione della casa di Maranello da Fca e la quotazione a Wall Street del 10% delle azioni. Nel 2016 la holding degli Agnelli diventerà il primo azionista del Cavallino con una quota del 24% che però, grazie al meccanismo del voto multiplo olandese, garantirà a Exor con il supporto di Pietro Ferrari la maggioranza assoluta dei voti in assemblea.