Cultura

Alicia Plante e il torbido lascito della dittatura

Ovunque era pieno di foglie secche che formavano dei mulinelli negli angoli, oltre alla corrispondenza maltrattata dalle interperie, sicuramente bollette, e cartacce sporche. Lì non viveva nessuno. Spinse il cancello, entrò e scoprì che, dietro la colonna che chiudeva quello spazio, si godeva di un’ottima visuale della casa in questione e della cabina del contatore. Ventiquattro ore più tardi, esattamente alle sette e dieci, quando cominciava ad agitarsi il pensiero che avrebbe fatto improvvisamente buio e che non avrebbe visto un tubo di quanto succedeva dall’altra parte della strada, lo vide arrivare. García Mejuto sembrava un contrabbandiere di un film muto: si era messo un berretto nero e camminava rasente al muro, la schiena curva come se così potesse attirare meno l’attenzione, sempre voltato all’indietro qualora il verme volesse attaccarlo alle spalle. Cecchi sorrise di nuovo tra sé: il gallego se la faceva sotto dalla paura.

È un noir delicato e con una trama originale e realista Senza macchia apparente, della scrittrice bonaerense Alicia Plante (pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera e tradotto da Violetta Colonnelli). Un romanzo che intinge le proprie parole nel ricordo torbido della dittatura argentina, e mette in luce uno degli aspetti più squallidi di quel cupo periodo della storia del paese sudamericano: il furto dei neonati, sottratti ai genitori che venivano torturati e assassinati, per essere consegnati, come pacco regalo, agli aguzzini e alle loro famiglie.

Il libro è ambientato in una comunità del Partido di Tigre, un dipartimento dell’Argentina sul delta del Paranà. La duplice morte archiviata come suicidio in realtà nasconde molti misteri. Una professoressa di Buenos Aires che passa molto del suo tempo in questi luoghi decide di investigare per suo conto e dipanerà una matassa ingarbugliata che rischia di distruggere la vita di diverse persone, tra cui un ex militare, un ragazzo con un’identità fasulla e uno sceneggiatore diventato ricattatore.

Con uno stile che a tratti ricorda la prosa asciutta di Rodolfo Walsh, quella degli articoli di Roberto Alt scritti per El Mundo e la sottile ironia di autori come Rolo Diez e José Manuel Prieto, Alicia Plante ha scritto un romanzo diretto, forte, privo di retorica, capace di mettere in luce aspetti orrendi della storia argentina utilizzando il linguaggio e il plot del noir contemporaneo, riuscendo, nel contempo, a descrivere e a rendere pulsante la vita quotidiana di comunità marginali che vivono a stretto contatto con le acque limacciose e scure del grande fiume.

Per un momento Battaglia fu sul punto di fare un passo indietro, rimase in silenzio a guardarsi le unghie della mano ma subito dopo decise che del grado non gliene importava un cacchio, lui voleva stare con i suoi amici nella casetta del Tigre, tutti i fine settimana dell’estate. E questa volta, quei venti giorni di vacanza a marzo che passava sempre solo come un cane o con qualche puttana raccattata a Las Toninas, sarebbero stati uno sballo; con o senza donne, non sarebbe rimasto da solo.