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Rivoluzione cubana, un magnifico 26 luglio

La prima volta che andai a Cuba fu nel 1986. Arrivai proprio il 26 luglio pomeriggio. Esausto per il lungo viaggio e il jet-lag volli andare sul lungomare dell’Habana, il famoso Malecon, a vedere la bellissima sfilata delle scuole musicali e di danza. Stand popolari distribuivano a buon prezzo birra, da consumare dentro grandi bicchieroni di carta e rum. Indubbiamente un bel modo di celebrare una data storica, l’assalto alla caserma Moncada con la quale Fidel, le sue compagne e i suoi compagni diedero un primo saggio di quella che sarebbe stata la rivoluzione cubana.

Neanche trent’anni sono passati ma sembra un periodo di tempo infinitamente superiore. Tre anni dopo crollava il muro di Berlino, cinque anni dopo l’Unione sovietica. Seguiva il periodo especial, con durissime restrizioni sul livello di vita. I miei amici avvocati mi raccontavano come, in tale fase, si fossero dovuti inventare nuovi mestieri per sopravvivere. Chi faceva il tassista, chi vendeva torte fatte in casa. Erano in ben pochi all’epoca a scommettere sull’avvenire di Cuba in quanto Stato socialista. I fuoriusciti, con l’appoggio del governo statunitense, intrapresero una campagna di destabilizzazione a suon di bombe, di cui fu vittima anche il nostro compatriota Fabio Di Celmo.

La destabilizzazione però non ebbe successo. Anzi, Cuba divenne sempre più un esempio e un punto di riferimento per molti altri Stati latinoamericani. Successi diplomatici indiscutibili, che si devono in buona parte proprio all’azione di questo Stato caraibico sono stati il suo rientro nell’Organizzazione degli Stati americani, la fondazione dell’Alba, l’Alleanza Bolivariana per l’America Latina e i Caraibi, e la creazione di nuovi spazi di concertazione politica a livello continentale, soprattutto la Celac (Organizzazione Internazionale dell’America Latina e dei Caraibi) . Questo è stato il contributo di Cuba al rafforzamento della cooperazione regionale e quindi alla pace mondiale, mentre continua il suo notevole sforzo per combattere le malattie e l’analfabetismo in ogni parte del pianeta.

Da ultimo il ristabilimento di normali relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, suggellato dalla liberazione, finalmente, dei cinque agenti antiterrorismo imprigionati nel 1998 da Clinton, e dalla riapertura delle ambasciate rispettive a Washington e La Habana. Un successo indubbiamente della leadership cubana ma anche di Barack Obama, che rappresenta, unitamente alla legge sulla sanità e al recente accordo con l’Iran, la parte positiva del bilancio della sua presidenza. Come sottolinea Wayne Smith, che nel 1961 era rappresentante statunitense nell’isola, molto tuttavia resta ancora da fare, soprattutto liquidare completamente il dannoso bloqueo.

L’apertura di proficue relazioni bilaterali fra Cuba e Stati Uniti non significa certo sottomissione di un piccolo Stato alla massima potenza mondiale, come nei sogni bagnati degli anticastristi impenitenti. Piuttosto il riconoscimento reciproco nel rispetto delle scelte compiute e l’apertura di molteplici sedi di cooperazione per la soluzione dei problemi comuni. Cuba e gli Stati Uniti possono oggi costituire, l’una per l’altro, non più parte del problema ma parte della soluzione. Sembra in effetti si sia fatta finalmente strada, nella parte più illuminata e intelligente dell’amministrazione statunitense, la convinzione che non vale la pena di insistere in un’avversione ideologica senza futuro.

Le radici della rivoluzione cubana sono forti e non saranno mai tagliate. Esse poggiano sul pensiero di José Martì e nella rivendicazione coerente e paziente della propria autodeterminazione condotta negli ultimi cinquantacinque anni da Fidel e da Raul. Come pure nell’edificazione di un sistema, certo non privo di contraddizioni e problemi, ma molto efficace dal punto di vista della garanzia dei diritti umani ad ogni livello, sia di ordine sociale che politico, e che, se, specie resterà la distensione nei rapporti internazionali con la grande potenza confinante, potrà senza dubbio raggiungere ulteriori risultati.

I problemi globali cui si trova di fronte oggi l’umanità, dal cambiamento climatico alla concentrazione del potere finanziario, dalle malattie infettive alla crescita del potere criminale, dall’approfondimento delle diseguaglianze sociali ai fenomeni del terrorismo, necessitano urgentemente di una nuova impostazione dei rapporti fra gli Stati. Anche in Europa e in Italia dovremmo condurre un’accurata riflessione su questi temi, consegnando per sempre imperialismo e sopraffazione, sia mediante l’uso della forza militare che mediante quello della finanza, all’immondezzaio della storia.