Trash-Chic

Trashchic, la terapia dell’amore (universale) di Fiorucci…

E’ uscito di scena in punta di piedi, quella scena che ha brillato per lui per 50 anni. Elio Fiorucci, creativo selvaggio (per sua stessa autodefinizione) e rivoluzionario (come lo ha definito la presse mondiale). Sotto la luce dei suoi riflettori sono passati Madonna che ha sfilato i suoi primi jeans stracciatissimi. Ha ispirato, fine anni ’70, un film sull’underground newyorkese (che lui ha fiutato prima degli altri) con protagonista Jean Michel Basquiat. Ha scovato Keith Haring che pittava murales nei subway e gli ha chiesto di trasferire l’arte dei graffiti nel suo negozio di New York e poi in quello storico di piazza San Babila, che fu per oltre vent’anni fabbrica di tendenze. Madonna, Basquiat e Haring erano tutti allora sconosciuti. Solo dopo sono diventati celebrities globali. Elio era uno che aveva le antenne, trasformava un’intuizione in trend. E pensare che tutto è cominciato da un piccolo negozio di pantofole di via Torino, di proprietà della famiglia.

Fu folgorato dalla cultura dei figli dei fiori di Carnaby Street e portò nella Milano perbenista delle sciure piume, sbrilluccichii, zeppone e zampe d’elefante di Biba, icona della swinging London. Elio è stato un pioniere in tutto. Ha accorciato le minigonne di Mary Quant. Ha fatto immortalare un sedere di pin up fasciato di pelle nera da un quasi esordiente Oliviero Toscani. Ha usato la gomma per tagliare al laser vestiti inguainanti. Quando lo conobbi, trent’anni fa, mi infilò in un costume di gomma verde acido e mi buttò in piscina. Voleva che diventasse la divisa della Nazionale di nuoto. Afferrò il concetto di idrodinamicità, ma gli addetti ai lavori gli fecero notare che il materiale gommoso, sì, tagliava l’acqua ma non faceva respirare la pelle.
Incontro Elio l’ultima volta alla serata Pirelli “Una Musa tra le Ruote” alla Triennale, il mese scorso. E proprio ad Antonio Gallo, responsabile della Comunicazione Pirelli PZero e fan di Fiorucci, chiedo perché non organizzare una mostra dei suoi oggetti “gommosi”ed iconografici, un omaggio al fioruccismo/pop. 
Occhi sempre carichi di meraviglia, modi garbatissimi, l’ultimo abbraccio, accompagnato da un “Ti voglio bene”, era il suo modo di congedarsi, il suo attestato di affetto. Era seduto in prima fila al “battesimo” de Il Sacrificio di Eva Izsak (ed. ChiareLettere) alla Feltrinelli al Duomo. Intrigato dal dibattito, andò a congratularsi con Peter Gomez (ndr. ricordi direttore?) e disse: “Mi piace il tuo giornale, è palpitante, rivoluzionario…” E detto da lui, lo stilista ante litteram, che rimase uno spirito libero anche quando fu costretto a vendere il marchio, aveva il suo perché.
Carla Milesi, artista eclettica, amica di sempre: “Prima che il tempo potesse sciupare la sua leggenda, prima che lo infilasse nel cono d’ombra della vecchiaia e della malattia, è volato via. Proprio come quegli angioletti vittoriani usati nel 1970 come logo del brand e rimasti indelebili nella memoria collettiva. Se non avesse fatto lo stilista si sarebbe fatto guru di una terapia dell’amore universale. Più che mai necessaria di questi tempi, diceva. Carla è tra le primissime a sostenere la petizione perché la Galleria Passerella sia a lui dedicata. Dai, sindaco Pisapia pensaci tu. Non basta solo uno sterile cordoglio. Elio merita di più.
Twitter @januariapiromal