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Agenda digitale, la rivoluzione finora non c’è: “Italia avanti a passo di lumaca”

Ritardi e ripetuti cambi ai vertici dell'Agenzia per l'Italia digitale. Ecco spiegato lo stallo dei principali progetti. Dal sistema per la gestione dell’identità digitale all’anagrafe nazionale della popolazione residente. E anche il processo civile telematico stenta a decollare  

Si chiama Anagrafe nazionale della popolazione residente ed entro il 31 dicembre 2014 avrebbe dovuto sostituirsi alle vecchie anagrafi comunali assumendo un ruolo strategico nel processo di digitalizzazione della Pubblica amministrazione. Molto bello, un progetto da sogno tenendo conto delle difficoltà che opprimono gli uffici. Solo che al momento è ancora tutto fermo e non sono nemmeno iniziate le sperimentazioni. Così come per il Sistema pubblico per la gestione dell’identità digitale: sarebbe dovuto partire cinque mesi fa ma se ne riparlerà, se tutto va bene, solo dopo l’estate.

BUON SAMARITANI E sono solo due esempi, due progetti di punta della cosiddetta Agenda digitale, l’iniziativa presentata a maggio 2010 dalla Commissione europea nell’ambito della strategia Europa 2020 e sottoscritta da tutti gli Stati membri, che in Italia avrebbe dovuto rivoluzionare i rapporti con la Pa ma i cui risultati finora non si vedono. Come ilfattoquotidiano.it ha potuto verificare sul campo e sentendo gli esperti. Malgrado l’istituzione di un’apposita Agenzia per l’Italia digitale, che fa capo a Palazzo Chigi e che recentemente ha cambiato per l’ennesima volta direttore generale. Al posto di Alessandra Poggiani, candidata (non eletta) alle Regionali venete in una lista civica a sostegno di Alessandra Moretti (Pd), il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha nominato Antonio Samaritani, ex direttore Sistemi Informativi e Ict della Regione Lombardia, fortemente voluto dal ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia. Un percorso, quello del neo direttore generale dell’Agid, che si preannuncia tutto in salita. Come già sostengono anche gli esperti del settore. “Gli undici miliardi stanziati dall’Unione europea per questa rivoluzione potevano essere spesi meglio: finora, invece, sull’Agenda digitale, l’Italia sta procedendo a passo di lumaca”, spiega a ilfattoquotidiano.it Raffaele Pinto, presidente di Anipa, l’Associazione nazionale informatici pubblici e aziendali. Per cui “da opportunità per migliorare i rapporti fra i cittadini e la Pa – aggiunge Pinto – questo progetto si sta trasformando in un fallimento“.

ANAGRAFE AL PALO Partiamo dall’Anpr, ovvero l’unione fra l’Indice nazionale anagrafi e l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, uno strumento che dovrebbe permettere alle amministrazioni periferiche e allo Stato di appoggiarsi su un’unica banca dati aggiornata in tempo reale dagli 8.100 comuni italiani favorendo la condivisione delle informazioni. Dovrebbe, appunto. Perché i problemi sono considerevoli.  L’idea di dare vita all’Anpr è stata di Corrado Passera, ministro dello Sviluppo economico ai tempi del governo guidato da Mario Monti, che individuò la Sogei (la Società generale d’informatica, controllata al 100% dal ministero dell’Economia) come soggetto attuatore del progetto. “Sogei avrebbe potuto coinvolgere maggiormente i soggetti esterni attraverso una gara: di fatto, in due anni, il progetto non è mai riuscito a decollare“, spiega Paolo Colli Franzone, co-fondatore e direttore generale dell’osservatorio Netics. “Non più tardi dello scorso inverno – aggiunge – l’Agid diceva che entro giugno 2015 sarebbero state avviate le sperimentazioni che nel mese di novembre avrebbero coinvolto un numero significativo di comuni. L’impegno non è stato mantenuto perché le sperimentazioni non sono ancora partite“. Eppure sono già stati stanziati 21 milioni di euro: 15 per il 2013 più altri 3 all’anno a partire dal 2014. Senza alcun risultato.

PORTALE BLOCCATO  Che dire, poi, di Italia Login? Una creatura del governo di Matteo Renzi fortemente voluta da Paolo Barberis, consigliere del premier in tema di Agenda digitale, con l’obiettivo di permettere ai cittadini, tramite un portale, di avere accesso telematico ai vari servizi offerti dalla Pa. “Si tratta di un progetto interessante che nei Paesi in cui l’Agenda digitale è decollata sta funzionando. In Italia, invece, si scontano i ritardi dello Spid e dell’Anpr – spiega Colli Franzone – Fino a quando non verranno messi a punto questi due aspetti il portale è destinato a rimanere bloccato“. Tra i progetti più innovativi c’è proprio Spid, un sistema attraverso il quale le pubbliche amministrazioni potranno consentire l’accesso in rete ai propri servizi mediante la carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi. Doveva partire a febbraio, se ne riparlerà (forse) a settembre. Sebbene fosse già stato lanciato dall’Unità di missione insediata dal precedente governo presieduto da Enrico Letta per poi passare in mano all’Agid. “Spid è nato con una visione ambiziosa, è un modello nuovo che fa leva su virtuosismi tra pubblico e privato – spiega Andrea Rigoni, già componente della task force dell’Unità di missione guidata da Caio ai tempi del governo Letta – Questo è un punto che può essere di estrema forza ma se interpretato o gestito male rischia di diventare una zavorra”.

SOTTO PROCESSO L’altra nota dolente riguarda il Processo civile telematico (Pct). Finora, per gli addetti ai lavori, le ombre hanno superato di gran lunga le luci nonostante la profusa euforia del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha parlato di «scommessa vinta». Recentemente anche il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha analizzato lo stato dell’arte del Pct, mettendo in fila le numerose criticità esistenti: dalla scarsità di risorse tecniche fino alla difficile interpretazione della normativa. Insomma: più che velocizzarsi il sistema pare essersi irrigidito. «Il Pct si basa essenzialmente sulla posta elettronica certificata (pec), uno strumento articolato e poco flessibile che perciò non risulta idoneo a garantire la verifica dell’autenticità dei documenti immessi nel fascicolo informatico», dice Andrea Lisi, avvocato esperto di diritto dell’informatica e presidente di Anorc, l’Associazione nazionale per operatori e responsabili della conservazione digitale. Inoltre il Pct «non risulta garantito da un sistema di conservazione a norma»: perciò, secondo il legale, esiste un «grave rischio di nullità degli atti processuali» e ciò «mette a repentaglio la certezza del diritto in ambito processuale». Non solo. Nei giorni scorsi il governo è intervenuto con un decreto per riordinare le norme sul Pct. Un’«ennesima occasione persa», la definisce Lisi: «Si tratta di norme riguardanti una disciplina già estremamente confusa e raffazzonata ma anche l’introduzione di disposizioni normative la cui tecnica redazionale risulta sciatta e a tratti incomprensibile».

POLITICA IN SALITA E adesso? Come rimettersi in carreggiata? Dopo le dimissioni di Alessandra Poggiani, toccherà ora ad Antonio Samaritani  cercare di raddrizzare la situazione. Anche se il percorso si preannuncia tutto in salita. «Il modo in cui stiamo spendendo le risorse dell’agenda digitale è inaccettabile-  afferma ancora Raffaele Pinto. Che, per quanto riguarda le responsabilità, anche delle disfunzioni registrate nella realizzazione dell’Agenda, non ha dubbi: «Doveva essere una grande occasione per modernizzare il Paese, si sta invece trasformando in una debacle. E i ritardi sono voluti: la colpa è soprattutto della mancanza di volontà politica». Come al solito.

Twitter: @Antonio_Pitoni @GiorgioVelardi