Cinema

Scientology finisce nel mirino. È ora di vederci chiaro

Ha vinto un Oscar con Taxi to the Dark Side, sulla politica dell’Amministrazione Bush in materia di interrogatori e, ehm, tortura. Due anni prima, nel 2008, aveva centrato la nomination con Enron: The Smartest Guys in the Room, sullo scandalo e il fallimento della corporation dell’energia stelle & strisce. Nonpago, e non domo, ha ficcato il naso nel doping del ciclista texano Lance Armstrong, The Armstrong Lie (2013), ha frugato tra i segreti strappati da Julian Assange e Bradley Manning al governo Usa in We Steal Secrets: The Story of Wikileaks (2013) e ha guardato nel buco della serratura del politico Eliot Spitzer con Client 9 (2010). Non è finita: due anni fa ha messo alla berlina gli abusi sessuali in seno alla Chiesa cattolica con Mea Maxima Culpa: Silenzio nella casa di Dio. Insomma, senza tema di smentita possiamo dire che il regista Alex Gibney ha un curriculum che il ben più strombazzato, idolatrato e avversato Michael Moore si sogna: non avrà ragione Esquire quando lo definisce “il più grande documentarista del nostro tempo” – dove mettiamo Frederick Wiseman, Errol Morris, Raymond Depardon e l’enfant prodige Joshua Oppenheimer?–ma è tra i primi cinque, se non addirittura sul podio.

Eppure, primus inter pares Alex Gibney lo è per il coraggio, fuor di dubbio: ci vogliono – perdonateci – due palle di ferro per portare sullo schermo Scientology, ripercorrendone la storia dalla fondazione ai giorni nostri, ovvero ricomponendo uno dopo l’altro gli innumerevoli scheletri nell’armadio del culto fondato da L. Ron Hubbard, un armadio che peraltro non sembra contenere altro. Dal libro del premio Pulitzer Lawrence Wright (Going Clear: Scientology, Hollywood & the Prison of Belief), Alex Gibney ha portato al Sundance 2015 Going Clear, un film le cui ripercussioni mediatiche, sociali e – in sviluppo – giudiziarie e finanziarie hanno avuto pochissimi eguali in questi anni. Scientology ha comprato pagine sui principali quotidiani Usa per rintuzzare (eufemismo) gli attacchi di Gibney, tesi – senza peraltro essere a tesi – a demolire la Chiesa attualmente guidata da David Miscavige. Con i fatti e con le testimonianze dello stesso Wright, di Marthy Rathbun, ex braccio destro di Miscavige e oggi feroce detrattore, di Mike Rinder, già portavoce della Chiesa che ha lasciato nel 2007 raccontando i maltrattamenti subiti da Miscavige, il regista costruisce un film dell’orrore preterintenzionale: è la realtà che inquadra che fa orrore, e Hollywood – come dal titolo del saggio di Wright – ne fa parte. Anzi, ne è testimonial: lo sono John Travolta e Tom Cruise, che hanno declinato il microfono di Gibney, e lo era Paul Haggis, oggi il più celebre fuoriuscito dopo 35 anni di appartenenza. Nelle nostre sale in una ventina di copie con Lucky Red vi invitiamo caldamente a vederlo:lo merita il coraggio di Gibney (Scientology, parrebbe di capire, è vendicativa), l’interesse del tema e le modalità dell’esposizione, con una consecutio temporum e malorum che nonostante i tanti nomi, fatti, date affastellati inchioda alla visione. Non sveliamo troppo di quanto Gibney porti alla luce, ma per solleticare il vostro appetito d’indagine qualche punto: la storiella del signore galattico Xenu, qualcosa che avete già visto in South Park, e chi come Paul Haggis l’aveva fraintesa come test sulla sanità mentale; la vittoria di Scientology sull’IRS per l’esenzione fiscale in quanto religione, sublimata ne La guerra è finita di Miscavige.

Il ricatto dei propri membri grazie alle registrazioni delle sessioni di audit con l’E-meter, sorta di confessione della Chiesa; l’intervento di Scientology nella fine del matrimonio di Tom Cruise e Nicole Kidman, nonché l’assegnazione a Cruise di una nuova fidanzata, l’attrice Nazanin Boniadi che abbiamo visto in Homeland; The Hole, ossia “Il Buco”, il pezzo forte del reportage per cui vi rimandiamo alla visione in sala.

Un lavoro davvero informato e formante, quello di Gibney, che alle nostre latitudini fa sorgere una benedetta domanda: di materiale ne abbiamo fin troppo, caro Alex, perché non vieni a mettere la videocamera nelle cose nostre?

il Fatto Quotidiano 25 giugno 2015