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Migranti, a creare l’emergenza non sono i buonisti ma le politiche sbagliate

Se c’è un termine che tutte le persone normalmente di buona volontà dovrebbero rimandare al mittente con decisione questo è “buonismo”. Perché quello che vediamo in questi giorni non è il fallimento del “buonismo”, ma quello delle politiche sbagliate. È un “cattivismo” superficiale e imbelle, che cerca di limitare e chiudere senza affrontarlo davvero il tema dell’accoglienza ai rifugiati, e l’austerity “uber alles” sul fronte della Grecia.

Alex Langer, di cui quest’anno ricorre il ventennale della morte, diceva con molto dolore che l’Europa stava morendo a Sarajevo. Da allora, molte volte abbiamo visto un pezzo d’Europa morire. Oggi siamo nella tenaglia infernale del Brexit, del Grexit, di poche migliaia di migranti e richiedenti asilo che scatenano tensioni tra paesi “amici” e tendenze alla disgregazione che mi spaventano molto.

In questi giorni, negli occhi e nelle parole delle persone che dopo viaggi orribili sono finite nelle nostre stazioni o aggrappate ad una roccia, vediamo una nuova morte annunciata: quella dell’Europa sorridente e protettrice, quella delle frontiere aperte, dell’Erasmus, della pace, delle battaglie ambientaliste. Mi colpisce l’incapacità di una larga mobilitazione (a parte moltissimi meritevoli cittadini), anche da parte delle forze più consapevoli di quello che si prepara e quindi anche da parte nostra.

Nelle parole di esponenti politici sedicenti progressisti, da Valls a Hollande, giù fino alla Serracchiani, vediamo anche che per Salvini o Le Pen non è necessario andare al voto per vincere nelle politiche concrete e nella percezione pubblica, portata a vedere pericoli ed epidemie in ogni gruppo etnico diverso dal proprio, grazie alla cortese amplificazione di media completamente complici di questa narrazione falsa e tendenziosa. Falsa e tendenziosa è l’idea, sposata anche da Renzi, che chi respinge il cattivismo sia un buonista ingenuo che vuole aprire tutte le frontiere a tutti, terroristi compresi.

È falso e tendenzioso vendere come “invasione” l’arrivo nella settima potenza economica mondiale di 57.000 persone (7% in più rispetto all’anno scorso) per una crisi che solo in Siria ha costretto alla fuga 4 milioni di persone, che oggi stazionano fra Libano (1,2 milioni), Turchia (2,2 milioni) Egitto e Iraq e che prospetta la ricollocazione di 40.000 persone in Europa nel corso dei prossimi due anni come una soluzione soddisfacente. È falso e tendenzioso dire che le nostre Regioni e i territori più ricchi non possono accogliere più nessuno, quando la Lombardia di Maroni decide allegramente di regalare 55 milioni di euro ai concessionari dell’autostrada inutile della BreBeMi. Il nostro Paese è al 54esimo posto su 64 tra i donatori per efficacia e trasparenza in materia di politiche di aiuto allo sviluppo, ma potrebbe tagliare di almeno 2,2 miliardi di euro sussidi e aiuti al settore militare. Per non parlare dei dati di Legambiente, che individua in 17,4 miliardi di euro gli aiuti diretti e indiretti alle energie fossili solo nel 2014.

Che c’entra questo con i rifugiati ed i migranti?

C’entra, eccome; il “cattivismo” dominante ormai da anni, prosegue solo moderando lievemente le politiche fallimentari della Lega di governo, dal “delitto” di clandestinità che oggi sbarca in Europa, ai Cie, ai respingimenti di Maroni, allo sdoganamento del razzismo alla milanese di Salvini, che rende accettabile la disumanizzazione dei migranti ridotti a fardelli usa e getta. Milioni di migranti regolari, vivono oggi nella preoccupazione costante di perdere il loro status, di vedere disconosciuto il loro ruolo economico, culturale e sociale per la nostra traballante civiltà, per la nostra mancanza di rispetto dei nostri doveri di accoglienza – anche temporanea – di chi scappa da guerre; guerre delle quali, Iraq in testa, chi oggi strepita è stato un grande supporter. Politiche carissime, valutate intorno ai 150 milioni di euro l’anno, per risultati a dir poco scarsi, se è vero che nulla viene speso per i numerosi “clandestini”, che spesso lavorano in condizioni di semischiavitù in nero, ed i rifugiati ricevono direttamente una media di 2,5 euro al giorno.

E così, a Bruxelles, mentre Salvini e Le Pen, la coppia anti-immigrazione ed anti-euro, trovano i deputati necessari al Parlamento europeo per formare un gruppo nel nome di nuove frontiere e discriminazioni, ieri a Lussemburgo i ministri degli Interni dei 28 Paesi dell’Ue discutevano di cose che nel Belpaese hanno dimostrato la loro infallibile efficacia.

Efficacia, sì, nel creare guerre fra poveri e confusione: rendere più veloci i rimpatri (notiamo che nel 2013 per circa 2500 rimpatri si sono spesi milioni di euro); distinguere fra migranti illegali e richiedenti asilo, secondo una lista che, lo sappiamo già, dichiarerà paesi come la Nigeria e l’Afghanistan paesi “sicuri”; “dulcis in fundo” la possibile introduzione in chiave europea del reato di “immigrazione clandestina”, ma naturalmente “solo nei casi gravi” giusto per darsi una buona coscienza.

Si è anche parlato, anche se in termini generici, del superamento delle regole di Dublino, in base alle quali i richiedenti asilo sono tenuti a restare nel paese di primo approdo. Ma come hanno dichiarato in coro il ministro tedesco e il suo omologo francese nell’improvvisata conferenza stampa per fingere che tutto andasse bene fra i loro Paesi e l’Italia: non c’è alcun accordo. I loro toni erano infatti ben diversi da quelli di Alfano. Tra gli aspetti positivi, a parte la determinazione della prossima presidenza lussemburghese a trovare un accordo vincolante sulla relocation al Consiglio Affari interni di inizio luglio, c’è senz’altro il fatto che la Commissione non molli sulla ripartizione obbligatoria (“è del tutto inutile definire quote volontarie”) e che, anche se farcita delle condizioni molto dure descritte più sopra, la strada sembra meno bloccata rispetto a qualche giorno fa.

Sarà il vertice dei capi di Stato e di governo del prossimo 25 e 26 giugno a preparare il terreno per un accordo che ci sarà – si spera – al primo Consiglio informale dei ministri dell’Interno, il prossimo 9 e 10 luglio sotto la nuova presidenza di turno del Lussemburgo, notoriamente più determinato dell’attuale presidenza lettone a concludere l’iter di approvazione.

Sono perfettamente consapevole che oggi chi sostiene la tesi che è possibile fare di più, organizzare l’accoglienza senza inutili eccessi ma concedendo a questo tema una maggiore priorità di spesa e facendo davvero la battaglia per l’esclusione dei fondi devoluti dal patto di stabilità europeo e locale, è solo una minoranza nel Paese. Lo stesso vale per l’Europa e questo è un problema serio che dobbiamo affrontare con trasparenza, facendo anche una battaglia contro la disinformazione imperante che nasconde tutti gli aspetti positivi per una società sana di politiche costruttive di integrazione e accoglienza che pure esistono.

Nel breve periodo, ci sono dunque quattro cose da fare subito. Innanzitutto: pur denunciando l’ipocrisia degli Stati membri, il piano della Commissione – seppur modesto e limitato – va sostenuto in quanto prospetta un’azione comune e un meccanismo di ripartizione secondo criteri logici e sostenibili. E’ una battaglia che non può essere abbandonata che deve essere combinata con quella del superamento della Convenzione di Dublino, necessariamente più lunga e difficile. Se si pensasse di avere già perso, avremmo un’ulteriore prova che le uniche azioni comuni che si possano fare al giorno d’oggi siano quelle di perseverare nella costruzione di nuove frontiere e di portare avanti politiche di austerità.

La seconda è l’attivazione della direttiva sulla protezione temporanea – come proposto da noi Verdi ormai da tempo e più recentemente dal governo italiano – approvata già ai tempi della guerra nella ex-Yugoslavia e mai applicata, che serve per affrontare flussi importanti di persone che si muovono da zone di guerra e di crisi.

La terza, è l’attivazione di un Mare Nostrum europeo: il Triton allargato è già più efficace del Triton originale, ma rimane ancora troppo limitato.

La quarta riguarda le priorità di spesa e di organizzazione. Nessuno potrà convincermi che la regione più prospera del mondo e un paese membro del G7 come l’Italia non abbiano la capacità di organizzare in modo adeguato il passaggio e la permanenza di qualche decina di migliaia di persone.

La proposta di bombardare i barconi ed aprire campi di rifugiati in Libia nel mezzo della guerra fa il paio con l’idea dei francesi di aprire in Italia e in Grecia campi di migranti, “hotspots” dove distinguere fra rifugiati e migranti irregolari da respingere sommariamente al mittente. Anche su questi respingimenti automatici e sommari ci sarebbe moltissimo da discutere, visto che le nostre economie avranno sempre più bisogno della forza lavoro offerta dai migranti nei prossimi anni. A che pro, allora rendere ancora più impenetrabile la fortezza europea?

Non mi stancherò mai di ripetere, infine, che è necessario cambiare le priorità di azione e spesa dell’Ue. Abbiamo assistito al 17% di riduzione dei fondi disponibili per immigrazione e integrazione da qui al 2020 e un grosso squilibrio di spese per “protezione delle frontiere”, che deve essere superato.

Organizzare l’accoglienza è possibile e doveroso. Senza dimenticare un’azione nei Paesi d’origine, come nel caso dell’Eritrea, dove un’azione di sostegno alla popolazione e di deciso isolamento del suo presidente è quanto mai urgente.

Buonismo? No, solo un sano realismo.